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[00:00:00] Speaker A: Do la parola ai relatori. Il primo è Giorgio Fazio dell'Università La Sapienza di Roma, esperto di teoria critica e di tipo francofortese. Non solo, ricordo soltanto il suo ultimo libro, Ritorno a Francoforte e il precedente su Karl Lovitz, ci parlerà di Don't Look Up, la crisi ecologica e le strategie capitaliste per oscurarla.
Prego.
[00:00:27] Speaker B: Sì, grazie, grazie per l'invito.
sì io vorrei partire da eh una considerazione generale che concerne il modo in cui le questioni ambientali eh il tema della crisi ecologica e del riscaldamento climatico siano ormai da alcuni anni al centro dell'agenda politica e ha segnato una discontinuità rispetto a un lungo periodo nel novecento eh in particolare eh nei decenni del cosiddetto dei cosiddetti trent'anni gloriosi in cui eh il tema ecologico e della crisi ambientale invece non era eh il cuore eh o comunque noi da anni vediamo eh giovani attivisti scendere in piazza e battersi per le questioni della giustizia ambientale e climatica impegnarsi in tutti i modi con scioperi del clima, manifestazioni, azioni di disobbedienza per ricordarci la minaccia rappresentata dal riscaldamento globale e per rivendicare il diritto e la responsabilità di prendere tutte le misure La questione ecologica ha ovviamente anche coinvolto tanti altri movimenti sociali che negli ultimi anni sono diventati noti anche insomma a chi non si occupa direttamente di attivismo politico su queste questioni.
Abbiamo imparato a conoscere le lotte delle comunità indigene nel nord come nel sud del pianeta eh le quali ottengono stanno ottenendo un sostegno un certo sostegno da parte della società civile internazionale lotte che recentemente cominciano ad essere riconosciute come ecologiche si tratta di eh lotte per la difesa dei propri habitat, dei propri mezzi di sussistenza, delle proprie tradizioni e tutte queste lotte trovano alleanze in chi tenta di articolare dei modi non strumentali di rapportarsi alla natura.
Conosciamo oggi sempre meglio nuovi movimenti femministi che si concentrano su questioni ecologiche e tentano di ricollegare le questioni della riproduzione sociale, della cura con le questioni ecologiche ma anche un nuovo attivismo antirazzista ha cominciato a includere all'interno della propria agenda politica la questione dell'ingiustizia ambientale ma il discorso potrebbe essere ulteriormente allargato e è diventato diciamo una parola conosciuta quella della decrescita negli Stati Uniti eh i eh socialisti democratici l'ala più maggiori esponenti famosi Bernie Sanders e Ocasio-Cortez ha lanciato negli ultimi anni il programma di un New Deal, di un New Green Deal, quindi recuperando le suggestioni di Franklin Delano Roosevelt ma riadattando, ripensando questo motivo della del New Deal eh in connessione con un'idea di transizione ecologica e tentando di formulare un programma di questo tipo volto a riguadagnare il sostegno della classe lavoratrice attraverso un piano di transizione volto a eh puntare sulle energie rinnovabili e attraverso questo a nuovi posti di Sappiamo che nel sud del mondo anche la questione ecologica è al centro del dibattito pubblico, c'è chi insiste sul fatto che il principale onere delle misure di riconversione ecologica dovrebbe ricadere sulle potenze del nord che hanno emesso gas Serra negli ultimi 200 anni, c'è chi invece punta su un nuovo modello di sviluppo basato su un'economia sociale e solidale.
Ma il tema ecologico è anche entrato nel campo politico della destra, per esempio da parte di quegli esponenti di un certo populismo di destra che abbracciano quello che può essere definito uno sciovinismo eco nazionale, che propongono di preservare i propri spazi verdi, le proprie risorse naturali, escludendo gli altri immigrati, spesso anche razzializzati.
Ma il tema dell'ecologia, noi sappiamo, è anche entrato dentro il mondo della comunità degli affari, il mondo delle aziende, il mondo della finanza.
Molti attori economici negli ultimi anni, forse oggi vediamo una battuta del resto di questa tendenza, puntano a trarre profitto dalla riconversione ecologica e e cercano di far sì che eh questo tema possa diventare eh un nuove una nuova occasione di di di affari e e quindi eh cercano anche di orientare questo tema facendo sì che eh esso preservi la centralità l'eco politica possiamo dire è diventata onnipresente nel dibattito pubblico degli ultimi anni e tuttavia una volta svolta questa osservazione noi non possiamo non riconoscere che Anche seguendo la cronaca dei giornali di quello che accade a livello politico internazionale, le politiche ambientali non sembrano mostrare un cambio di passo.
Anzi, negli ultimi tempi, dominati dagli indirizzi politici della nuova amministrazione statunitense di Donald Trump, abbiamo osservato una netta inversione di tendenza anche rispetto a una nuova agenda di eh Green Deal come era stato eh denominato in Europa e eh e e quindi diciamo una battuta di arresto, un riorientamento verso eh le eh energie eh e probabilmente quello che accadrà a a Belem in Amazzonia dove in questo momento si sta svolgendo una cop trenta una conferenza internazionale sul sul cambiamento climatico e che ci sarà probabilmente alla fine di questa conferenza un'ennesima petizione di principio una serie di dichiarazioni a meno insomma di una smentita e eh e d'altra parte eh in questa conferenza internazionale non è nemmeno presente la delegazione statunitense e questo è in linea con eh la politica che sta perseguendo Trump che ha annunciato il ritiro dall'accordo di Parigi per il duemilaventisei ha fatto fallire un accordo sulla riduzione ha smantellato l'Agenzia per la protezione ambientale, ha eliminato tutti i sussidi per le energie rinnovabili, arrivando persino a rinviare i progetti di parchi eolici che considera orribili.
Conosciamo il motto di questa nuova amministrazione, drill baby drill, perforazioni senza alcun limite, per quanto riguarda produzione di petrolio e carbone e tutto questo sta trovando anche la convergenza del mondo delle grandi aziende multinazionali che hanno eh iniziato a disinvestire eh eh da eh sottoponendo le politiche di eh da di riconversione ecologica sulle fonti rinnovabili e hanno ricominciato a investire su gas e petroli ora ci troviamo quindi di fronte a un paradosso per un verso c'è una eh che diciamo eh è eh portata avanti, sviluppata anche da tutti questi movimenti che prima ho richiamato e eh per altro verso però noi in questo momento ci troviamo di fronte a una politica che sta remando in direzione assolutamente contraria e e che ha anche un certo successo nel senso che ha consenso politico.
Eh io penso che di fronte a questa situazione paradossale, insomma, per certi versi, ma per altri versi comprensibile se noi ragioniamo su come funziona la politica, la costruzione del consenso, la conquista della cosiddetta egemonia culturale e politica in un determinato contesto storico, di fronte però a questa situazione io credo che eh noi dobbiamo eh eh esercitare eh una certa critica o comunque rileggere criticamente eh alcune grandi diagnosi che erano state fatte nella seconda metà del novecento da autori per esempio come Ulrich Beck da lo storico per esempio Rainer Koselleck dal filosofo Hans Jonas.
In diverso modo tutti questi autori avevano sostenuto la tesi secondo la quale è proprio l'ingresso in un'età della paura, del rischio sistemico che avrebbe favorito una presa di consapevolezza critica collettiva sulle questioni ecologiche e quindi anche alimentato quelle energie capaci di intervenire per riorientare i nostri modelli di sviluppo e di consumo e prevenire eh una eh catastrofe globale richiamo qui il noto sociologo eh tedesco eh autore della della dell'importante e ovviamente eh da leggere assolutamente insomma Saggio e la società del rischio e eh la tesi fondamentale di Beck era che nel passaggio dalla prima modernità alla seconda modernità Le società contemporanee si sono congelate dal modello di sviluppo lineare che informava l'età industriale, modello contraddistinto dall'imperativo della produzione di ricchezza e da conflitti distributivi sulla redistribuzione di questa ricchezza.
La modernità in questo passaggio diventa riflessiva rispetto alle premesse e ai principi della prima modernità industriale, in quanto l'accrescimento del potere del progresso tecnico scientifico è messo sempre più in onda dalla produzione di rischi e quindi la diciamo dinamica dei conflitti politici si sposta proprio su questa produzione generalizzata imprevedibile ubiquitaria di rischi con la loro universalizzazione, con la critica da parte dell'opinione pubblica e l'analisi anche antiscientifica, i rischi emergono definitivamente da uno stato di latenza e acquistano un significato nuovo e centrale per i conflitti sociali e politici.
Quindi la riflessività della seconda modernità nasce dal fatto che la società si troverà a confrontarsi con gli effetti collaterali indesiderati e non voluti della sua stessa spinta modernizzatrice.
Per Beck proprio l'esposizione globale a rischi sempre più incalcolabili che provoca un processo di, come lo definiva, cosmopolitizzazione della vita quotidiana e un processo che quindi può dischiudere prospettive critiche e emancipative.
si possono creare nuove comunità trasnazionali capaci di politicizzare ambiti che fino a quel momento erano stati estromessi dalla deliberazione democratica, la tecnica, la produzione industriale, la salute e in questa mobilitazione subpolitica, trasnazionale, cosmopolitica il tema fondamentale diventa la paura.
Cito una frase di Beck, i rischi globali sono estremamente ambivalenti poiché la minaccia della fine e della catastrofe può creare anche opportunità di nuovi inizi.
Il rischio giunge come una minaccia ma porta con sé la speranza.
L'azione politica e la costruzione di comunità nell'era della cosmopolitizzazione sono rese possibili dalla percezione della portata globale delle minacce climatiche che incrina il rigido sistema della politica nazionale e internazionale rendendolo aperto al cambiamento.
Quindi, nella società planetaria dei rischi, secondo questa diagnosi, è proprio la paura del futuro e il pensiero della catastrofe che, prevalendo su un'aspettativa utopica, può aprire chance di trasformazione.
è proprio la minaccia planetaria contro gli interessi comuni dell'umanità che può creare il terreno che favorisce la formazione di comunità transnazionali.
Un pensiero simile era stato sviluppato anche da Rainer Koselleck, il grande teorico del passaggio della modernità alla tarda modernità e anche uno degli autori di riferimento della cosiddetta scuola storico-concettuale che ha in molti testi anche ricostruito la nascita e l'evoluzione della parola crisi e la sua funzione anche politica all'interno della modernità.
E anche Koselleck registrando il modo in cui eh nella tarda modernità il concetto di crisi eh diventa routinizzato eh perde quel mordente politico che invece aveva nella prima modernità però è raggiunto la conclusione che eh in un l'umanità esperisce nella tarda modernità e quindi il presentarsi di scenari catastrofici avrebbe potuto richiamare sullo sfondo anche qui dell'eclissi di grandi immagini utopiche avrebbe potuto smuovere una coscienza critica e quindi favorire anche delle risposte politiche.
A conclusioni simili è raggiunto anche Hans Jonas che aveva teorizzato come nella tarda modernità il posto dell'utopia sarebbe stato rioccupato da un'eoristica della paura che addestrando la prefigurazione mentale di scenari catastrofici avrebbe potuto educare a ricomporre i tratti di un concetto di identità umana da salvaguardare capace di alimentare un'etica della responsabilità nei confronti delle generazioni future da cui solo sarebbe potuto discendere un uso accorto e ponderato della scienza e della tecnica.
ora siamo quindi ho ricordato tre grandi diagnosi di grandi pensatori e a me sembra che però la situazione paradossale che ricordavo prima ci inviti a reconsiderare criticamente queste diagnosi e anche a assumere che il tema della paura della catastrofe non è di per sé un fattore di mobilitazione politica né è di per sé un fattore che può favorire quel processo di trasnazionalizzazione di una politica cosmopolitica di cui vi aveva parlato, Ulrich Beck.
Anzi, quello che possiamo dire oggi è che in una società del presentismo, come ha teorizzato lo storico François Artaud, ossia un'epoca in cui si assiste alla proliferazione di aspettative di breve termine, di urgenze che si esauriscono rapidamente e quindi all'eclissi anche di grandi spinte progettuali, il riferimento alla catastrofe, al rischio, alla crisi può trasformarsi in qualcosa di opposto.
da quello che si poteva pensare, ossia in uno strumento di reiterazione dell'esistente più che di trasformazione o di salvezza.
Una gestione tecnocratica delle crisi può richiudere spazi di confronto pubblico e può apparire la risposta più efficace a crescenti domande di sicurezza e di prevenzione dal rischio della catastrofe è una politica decisionistica e autoritaria che liquida le mediazioni democratiche e accentra le prerogative di governo e nello stesso tempo assicura che si può andare avanti come si è sempre fatto può apparire a molti impauriti bisognosi di orientamenti e sicurezza come la strada più efficace per risolvere i tanti problemi che si accumulano in una realtà sempre più accelerata. Quindi un minuto?
Due minuti.
[00:20:43] Speaker C: Ok.
[00:20:45] Speaker B: Quello che a mio modo di considerare anche su un piano eh teorico filosofico non solo strettamente politico è eh diciamo l'esigenza di mh costruire un pensiero critico dell'alternativa e di intervenire negli con eh analisi e diagnosi che possano eh aiutare a costruire questa nuova egemonia eh culturale eh o un nuovo senso comune che può guidare realmente processi di politicizzazione su questi temi. Processi che non sono generati in alcun modo automaticamente da questi stati Ora, mi volevo richiamare brevemente per eh dare un po' di concretezza a questo a questo discorso che sto eh facendo a l'ultima riflessione che ha condotto eh un'autrice statunitense che è una ah delle esponenti di punta della della cosiddetta teoria che ha parlato proprio di della necessità di costruire un nuovo senso comune ecopolitico che possa orientare un progetto di trasformazione largamente condiviso diciamo uno dei motivi di fondo di questa sua teorizzazione è che è.
[00:23:06] Speaker D: Non.
[00:23:06] Speaker B: C'È consenso attorno a eh una nuova agenda politica eh che metta al centro in termini radicali il tema eh della transizione ecologica soltanto se il tema dell'ecologia non viene isolato alle altre tendenze, gli altri scenari di crisi che stanno solcando la nostra società, le nostre società contemporanee.
Quindi se si riconnette la diagnosi ecologica ad altre preoccupazioni vitali che attraversano insomma le le le le popolazioni delle società eh odierne tra cui la precarietà dei mezzi di sussistenza e la negazione dei diritti del lavoro il disinvestimento pubblico della riproduzione sociale e la cronica sottovalutazione del lavoro di cura l'oppressione etnica, raziale, imperialistica, il dominio sessuale di genere le torsioni autoritarie e militariste che stanno caratterizzando e segnando la politica contemporanea.
Ora dico quest'ultima cosa, questa idea di riconnettere queste diverse dimensioni di crisi e quindi favorire anche il riconoscimento di una comune condizione di oppressione e anche di disorientamento può essere appunto realizzato da una teoria critica della società contemporanea che riconosce come la matrice di di queste dimensioni di crisi è uno stesso modello di sviluppo capitalistico che però per essere compreso necessita di una teoria rinnovata di che cos'è il capitalismo oggi una teoria critica del capitalismo che faccia riconoscere come il capitalismo non è soltanto un sistema di organizzazione dell'economia, di produzione di beni e servizi, di organizzazione del lavoro, ma anche una modalità specifica di organizzazione del rapporto tra l'economia e le sue condizioni di possibilità non economiche come appunto la natura come appunto la sfera del del dei rapporti eh di cura e della riproduzione sociale come appunto la politica e tra l'economia capitalistica e le sue condizioni di possibilità non economiche è un rapporto contraddittorio perché quello che le tendenze prevalenti nel capitalismo contemporaneo fanno è separare queste dimensioni dalla sfera economica, disconoscerne il valore e l'importanza e contribuire eh di una logica autodistruttiva perché queste sono condizioni di possibilità della stessa economia capitalistica e e quindi insomma e forse anche grazie a queste diagnosi che siamo ma meglio attrezzati per eh eh affrontare quella situazione paradossale di cui ho parlato all'inizio e nella.
[00:27:00] Speaker A: Grazie mille Giorgio per la grande sintesi, ora passerei subito la parola a Paola Imperatore dell'Università di Pisa, ricordo soltanto il suo libro L'era della giustizia climatica con Emanuele Leonardi che ho letto e mi è piaciuto molto.
[00:27:16] Speaker E: Allora intanto buonasera a tutti e tutte e grazie per l'invito a questa giornata e io mi occupo un po' di questi di temi legati al rapporto diciamo tra capitale natura, territorio, conflitto sociale quindi diciamo mi sono un po' occupata di questi temi negli anni però da un profilo più socio politico quindi mi fa molto piacere anche stare in dialogo con una platea di persone diverse ma all'interno di una giornata di filosofia, quindi insomma vi ringrazio per questa occasione e vado più velocemente possibile al sodo perché i tempi sono abbastanza stretti.
Vorrei partire un attimo dal modo in cui arriviamo a sviluppare il dibattito intorno allo sviluppo sostenibile all'interno della cornice del capitalismo per vedere come poi questa prospettiva ci abbia portato gradualmente, forse neanche troppo gradualmente, ad un collasso ambientale. E lo faccio partendo dagli anni 70 che sono caratterizzati da un lato da un significativo boom economico che porta a livello quasi globale a una crescita dell'occupazione, dei consumi, delle stile di vita. generali, ma d'altra parte inizia anche a mettere, a portare ad evidenza le sue contraddizioni ecologiche, quindi una serie di problemi legati all'inquinamento, allo sfruttamento naturale, ai rifiuti e tutta un'altra serie di questioni che in qualche modo mostrano come il degrado ambientale inizia a mostrarsi come orpello dello sviluppo economico della crescita. Ed è proprio dentro questa cornice caratterizzata da anche significative mobilitazioni di massa, perché proprio negli anni 70 la questione ambientale, ecologica inizia a diventare una questione di massa con l'emergenza dei grandi movimenti ambientalisti.
che va collocata alla lettura di questo importante rapporto commissionato da Club di Roma che un po' tutti e tutte abbiamo sentito nominare quantomeno ovvero il rapporto conosciuto come i limiti della crescita un rapporto che in qualche modo eh fu considerato ai suoi tempi tutt'oggi viene considerato eh come dirompente innovativo perché per la prima volta andò a tematizzare la questione dei limiti ambientali di una crescita che continuava a correre sempre più rapidamente, in qualche modo superando questi limiti.
L'idea, partendo da questo rapporto, da questo studio, questa analisi, era quella, in qualche modo, di porre come grande sfida dell'umanità quella di coniugare gli obiettivi della crescita economica con i limiti ambientali planetari che sino a quel momento non erano stati adeguatamente considerati. E questo porta a allibanarsi di un dibattito che verso la metà degli anni Ottanta porterà alla nascita del concetto di sviluppo sostenibile che nasce appunto in seno a, viene cognato da la Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo delle Nazioni Unite nel 1987 e con il quale si cerca proprio di porre a perno, in qualche modo, delle politiche future il tema della compatibilità tra la crescita, le attività economiche e la salvaguardia ambientale.
Qual è però lo strumento primario che viene individuato per affrontare questa sfida e rendere compatibile crescita economica di mercato e ambiente, proprio gli strumenti del mercato. Quindi in qualche modo l'intuizione alla base dello sviluppo sostenibile, per come è nato e come tutt'oggi lo conosciamo, è proprio quella di internalizzare le esternalità negative. Provo a dirlo in un linguaggio diciamo non economicista, fare sì che tutte quelle che noi consideriamo esternalità negative dei processi produttivi, l'uso dell'acqua, l'acqua che viene inquinata per uno scarico, l'inquinamento, i rifiuti, quindi tutto quello che è fuori, esterno, è un'esternalità rispetto al processo produttivo, gli venga dato un prezzo e venga riportato, internalizzato nel processo di produzione. Qual è l'idea? Che al produttore, che all'azienda, produrre questa merce non costerà più, faccio un esempio, 2 euro, ne costerà 4,50, perché all'interno di quel processo produttivo iniziamo a contabilizzare tutto quello che è la dimensione ambientale.
e su questa idea, su questa intuizione si sviluppa quello che poi noi conosciamo come capitalismo verde, green economy e un po' proprio su queste basi viene stipulato il protocollo di Kyoto che come sappiamo è quello che ad oggi disciplina la governance climatica, ovvero la conferenza delle parti. al centro quindi di questa prospettiva che da oramai 50 anni ci accompagna nella governance della questione ambientale, c'è l'idea che dando un prezzo, quindi trasformando in qualche modo in merce anche quello che è l'inquinamento, anche quello che è la dimensione ambientale chiamata in causa nei processi produttivi, si possa in qualche modo per migliorare le performance ambientali delle aziende, questo è un po' tirato ovviamente dette in soldoni l'idea di sviluppo sostenibile su cui si sono rette queste modalità di sviluppo e che come dicevo si sono poi applicate anche nell'ambito della crisi climatica, tant'è che come accennavo prima la crisi climatica viene gestita diciamo dalla COP, dai paesi che ne fanno parte attraverso un sistema di mercato verde, quindi questo sistema di compravendita di pacchetti di emissioni di CO2, che sostanzialmente ha trasformato la CO2 da un problema, da uno scarto, a una risorsa, a una merce, che fa parte di un vero e proprio mercato di una compravendita, che si accompagna poi ad altre forme di finanziarizzazione e speculazione intorno alla crisi climatica a cui anche prima si faceva riferimento.
Mi sembra però importante in qualche modo vedere quali sono stati i risultati di questa politica, perché ripartiamo da questi presupposti. Nel 71 c'è questo di Roma che dice c'è un problema la crescita illimitata non si può fare non si può perseguire porterebbe al collasso dell'umanità di conseguenza cambiamo modello e troviamo un modo di rendere compatibile crescita ambiente ebbene sviluppo sostenibile parallelamente qualche anno dopo si dice questo modello applichiamolo anche nel governo della crisi del riscaldamento climatico ok Quindi oggi possiamo iniziare a dire cosa hanno prodotto 50 anni per lo sviluppo sostenibile e 30 anni di applicazione nella questione ambientale. Dove siamo oggi con questa prospettiva? Oggi siamo in una fase in cui tutte quelle che sono considerate le soglie critiche per la riproduzione della vita umana sul pianeta sono state raggiunte o in alcuni casi superate anche in modo significativo.
Questo tema, questo problema è trasversale a varie dimensioni che compongono quello che noi definiamo come ecologia, quindi le emissioni globali di CO2, la perdita di biodiversità, la perdita di suolo, la perdita di acqua, può essere potabile, con tutta una serie ovviamente di implicazioni sulla salute umana globale, perché chiaramente tutti questi record che noi tocchiamo non sono numeri o meglio li percepiamo, li raccogliamo come dati, come numeri, li mettiamo nero su bianco in questi termini affinché ci sia chiara qual è anche la consistenza di un fenomeno, ma poi si calano nella realtà quotidiana attraverso malattie e epidemie, pandemie, crisi idriche, ondate di calore, alluvioni e quant'altro. Quindi tutto quello di cui noi stiamo parlando rappresenta, che ci piace o meno, ci interessa o meno, una sfida per tutti e tutte, diciamo, che avremo in futuro.
E in qualche modo dentro questo quadro generale credo che proprio il tema della crisi climatica sia emblematico, forse anche perché è quello che ho conosciuto meglio, quindi magari è anche semplicemente per deformazione professionale, Però è quello dove possiamo meglio vedere il fallimento di questo sistema di mercato applicato alla questione ambientale, perché se noi consideriamo che è dagli anni 90-92 che abbiamo un sistema di crediti di carbonio che regolano la posizione climatica, non possiamo fare a meno di notare che proprio in corrispondenza di questo periodo, di questi 30 anni in cui noi ci siamo dati gli strumenti per affrontare il problema, che cosa vediamo? Vediamo che il problema non viene ridotto. che il problema non viene contenuto, che il problema non cresce proporzionalmente al periodo precedente, ma che addirittura cresce in modo esponenziale.
Quindi noi abbiamo di fronte un dato palese, questo sistema ha fallito in un modo diciamo eloquente ed è difficile diciamo contraddire questa tabella se vogliamo, questo grafico.
Ora, un po' quello che vediamo dentro la prospettiva, in qualche modo, della gestione della questione ecologica attraverso il mercato, mi ha richiamato questo estratto di un libro molto bello, scritto da Giorgio Nebbia, un ecologo molto famoso in Italia, che ci ha lasciato da un po' di anni.
è che in questa storia della contestazione ecologica, in cui prova a tratteggiare una storia della contestazione ecologica in Italia, scrivendola, guardando ai territori, alle fabbriche, a molti luoghi di lavoro diversi, lui scrive queste cose che ho trovato veramente calzanti per capire a cosa si stiamo da alcuni decenni. Lui appunto scrive il mondo imprenditoriale, ricordiamo sta parlando degli anni 70, quindi dicevamo contestazione ecologica di massa, boom economico, ma anche una serie di questioni ambientali che iniziano a emergere e creano delle conflittualità nelle comunità, nei territori e a livello globale. Quindi questo è il contesto in cui lui scrive queste parole. e dice che il mondo imprenditoriale ha contribuito a far sorgere l'immagine di un'ecologia che è contro il progresso, contro la produzione e contro gli stessi lavoratori e appunto lui precisa, ha seguito con grande attenzione la crescita della contestazione ecologica e tanto più che una frangia di questa contestazione aveva cominciato a denunciare che la vera origine dell'offesa l'ambiente andava cercata nella maniera capitalista della produzione, che ha sentito sempre di più l'esigenza di costruire queste immagini dell'ecologia antisociale, che è un'immagine che ci portiamo dietro negli anni che ce la trasciniamo e che continua a mettere lavoratori e territori, comunità in opposizione.
E ancora, secondo me questo è un aspetto molto interessante che in qualche modo si riallaccia a quello che stiamo vivendo in questi anni, è come il mondo imprenditoriale abbia da un lato riconosciuto il danno inflitto alla natura, alla crisi climatica, nel senso che per tanti anni le aziende, le grandi compagnie energetiche fossi hanno fatto pubblicità sulle questioni ambientali. dicendo che insieme potevamo farcela, che Eni più Silvia era meglio di solo Eni e quant'altro. Quindi c'è stato un riconoscimento di questo problema, ma allo stesso tempo quello che in qualche modo questo mondo cerca di mandare come messaggio è che se sfortunatamente tutto questo era successo, era anche vero che solo le aziende possedevano i mezzi, le conoscenze e i capitali per produrre ora finalmente le merci pulite. Quindi qual è stata la strategia narrativa del mondo aziendale e oggi finanziario? È stata proprio questa, quella di dire attraverso i nostri stessi strumenti che ci hanno portato al collasso, ora possiamo con questa nuova consapevolezza invece portarvi, traghettarvi fuori dal problema. E questa è quella che però proprio Giorgio Nebbia definiva come un'ecologia dei padroni, cioè un'ecologia che non aveva il vero obiettivo di risolvere il problema ambientale, ma quello piuttosto di far sì che la contestazione si contraesse e che di nuovo venisse delegata alle aziende, agli stati la soluzione di un problema che però avevano contribuito significativamente a creare.
Ancora oggi quando si parla di transizione ecologica, di questioni ambientali, ci troviamo a riflettere sul modo in cui effettivamente queste contraddizioni potrebbero essere risolte. e le aziende in qualche modo promettono una strategia, una via d'uscita, una possibilità di risolverlo, ma in realtà quello che è stato evidentemente dimostrato da molti studi, questo libro di Saito Kohei, Il capitale è una tropocena, è molto interessante nel fare una panoramica del problema, è interessante perché in realtà evidenzia come il capitalismo per lo più non risolve le sue contraddizioni ecologiche, al massimo le rimuove dal nostro sguardo. Quindi quando le grandi compagnie in Occidente promettono di fare una produzione più ecologica o produrre meno con le fonti fossili, non stanno davvero intervenendo alla radice del problema, quindi alla riduzione delle emissioni, delle altre forme di degrado ambientale, ma stanno traslando questi problemi, li stanno spostando lontano da questo sguardo critico. E questa traslazione, come Saito evidenzia, ha tre forme.
Perché è una traslazione temporale, cioè le contraddizioni ecologiche vengono semplicemente posticipate su qualcun altro che dovrà per forza viverle, cioè una traslazione temporale generazionale. Le future generazioni non a caso sono state il tema chiave delle mobilitazioni climatiche tra il 2018 e il 2019 che hanno costruito a lungo un discorso di contrapposizione leader mondiali adulti versus giovani, proprio enfatizzando questa forma di traslazione.
Ma anche una traslazione, e poi sono traslazioni che possono essere anche intrecciate, peraltro non sono esclusive, una traslazione spaziale in cui anche in questo caso la questa contraddizione ecologica non si risolve ma si esternalizza eh più lontano in quei territori che storicamente eh sono colonizzati attraverso questa forma di imperialismo ecologico che serve in qualche modo a garantire dei consumi più verdi, delle economie più green sono la parte del mondo e infine questa forma di traslazione tecnologica che si fonda per lo più nel quando si parla di cambiamenti di crisi climatica sul attraverso l'uso della tecnologia, cioè l'idea di base è quella che possiamo continuare con la nostra crescita senza però questa volta aumentare di grado ambientale grazie alla tecnologia che riuscirà a farci fare questo scarto. In realtà questa traslazione ecologica, come è stato dimostrato prima fra tutti dai dati, è perlopiù un'illusione, è una mitologia, è un po' una leggenda, e si fonda sull'idea della società dematerializzata, cioè sulla società che, digitalizzando, semplificando, tecnologizzando, potrà rimuovere, diciamo, la dimensione materiale dell'impatto ambientale, ma che ancora una volta non viene rimossa, viene dislocata, viene spostata, ma la materialità è alla base di tutti i processi di digitalizzazione.
Vado un po' a chiudere perché giustamente a questo punto, dato che parliamo di una sfida epocale che ci poniamo tutti e tutte, tutti e tutte dobbiamo anche confrontarci con questa domanda, con questa questione, cioè se può esistere un capitalismo sostenibile. La mia risposta è che non può esistere perché il fallimento a cui abbiamo assistito, a mio avviso, non ha a che vedere con qualcosa che è andato storto, cioè non ha a che vedere con un progetto che era buono che aveva una buona struttura, una buona intuizione, ma che per qualche ciampo è fallito. Ma è insostenibile perché il capitano per sua natura, sin dalle sue origini, dalle sue primi processi di formazione, è intrinsecamente antiecologico e antisociale e quindi non c'è una storia del capitalismo che non sia anche una storia di degrado ambientale e chi in qualche modo ha provato a ricostruire questa storia muovendosi per passaggi, per step storici dall'accumulazione primitiva al commercio internazionale, alle piantagioni, arrivando alla rivoluzione industriale, può leggere questa storia non solo in termini di trasformazione sociale, ma anche in termini di profonda trasformazione ambientale che è stata necessaria affinché questi upgrade del capitalismo avvenissero e sempre creando processi sempre più insostenibili di crescita e accentrando questo potere economico. Questa è un'altra questione importante con la quale Voglio chiudere, se non l'ho superato.
Ok, ho visto un movimento.
Cioè come il capitalismo appunto e la sua storia ci parla di un sistema che sia intrinsecamente non a volte antiecologico ma socialmente diciamo sostenibile o qualche volta ecologico ma antisociale. È un sistema che ha sempre accompagnato queste due dimensioni, che si sono sempre opposte e che oggi quando ci troviamo di fronte a sfide così delicate, anche in questo territorio, proprio ieri la questione dell'Ilva rimessono al centro il tema del lavoro, il tema del rapporto tra lavoro e ambiente, è importante ricordare e riconoscere una cosa che quando noi parliamo di un ricatto, almeno a mio avviso, un ricatto significa che io ti prometto qualcosa se tu rinuncia a qualcos'altro. In ogni caso una delle due parti ci deve essere.
Noi dobbiamo riconoscere che il capitalismo oggi ci ha portato in un punto che non solo è a un centimetro dalla guerra globale, che ha fatto perdere su tutti i fronti, cioè si è perso il lavoro, il lavoro si è impoverito, si è precarizzato, è soggetto a forme sempre più intensive di sfruttamento e si è perso sul piano ambientale, perché il livello di degrado e i problemi ambientali sono tutti al loro punto apicale. Quindi dal mio punto di vista partire da questa premessa ci aiuta poi a pensare e immaginare quali forme trovare per invece pensare come affrontare queste sfide che sono state definite anche nella giornata opportunità, perché è vero, dentro la sfida, dentro la difficoltà possiamo aprire lo spazio anche per un'opportunità di trasformazione socioecologica, come si dice, per una vita bella, una vita degna e sostenibile.
Grazie mille.
[00:46:44] Speaker A: Grazie mille Paola per la chiarezza e non da ultimo anche per essere rimasta perfettamente dentro i tempi e anche per avermi fatto scoprire che il mio solo sguardo può far rispettare i tempi o incutere timore, la prima volta che il solo movimento, me lo ricorderò.
Grazie.
Adesso abbiamo, io lascerei la discussione se ci sarà spazio, alla fine.
Anche questa è minacciosa anche se non ho mosso la testa.
Abbiamo adesso la terza speaker, Maura Beneggiamo, donesta di Pisa, si occupa di conflitti ambientali e di estrazionismo e ricordo il suo libro La terra dentro il capitale che è anche una versione inglese, se non sbaglio.
[00:47:38] Speaker F: Buonasera a tutte e a tutti, vi ringrazio, sono molto felice di essere qui, per me è anche un po' fra mille virgolette un ritorno a casa perché sono sociologa ma ho una formazione sia di filosofia che di sociologia quindi per me è sempre interessante comunque. questo confronto e ringrazio anche chi mi ha preceduto perché mi sta facilitando il compito, avendo già anticipato tutta una serie di questioni e quindi mi sento che quello che proverò a dire sarà un po' un completamento. Cosa vorrei fare oggi?
Vorrei, visto che ci sono poi anche studenti e studentesse in questo in questo spazio, il mio tentativo è quello di provare anche a far vedere come io nel mio piccolo e quindi in generale dentro l'accademia, come si fa ricerca anche per arrivare a studiare, mordere e anche mettere in evidenza le questioni che poi ci sono state portate. E lo farei a partire da una domanda che si collega molto bene con l'ultima cosa che ha detto Paola, cioè la questione dell'immaginazione.
Prendo provocatoriamente questa frase che è stata attribuita a Mark Fisher, che la utilizza in effetti in apertura di un suo libro, che è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Solo che ci metterei un punto di domanda, no? Perché è una frase che non sopporto più di sentire. Quindi effettivamente... E l'immaginazione è un qualcosa di molto importante. È stato citato prima Beck, un altro filosofe e sociologo importante della modernità, e Giddens diceva le società contemporanee sono sempre più orientate al futuro e accelerano questa spinta verso il futuro e il futuro colonizza e influenza il presente in modalità sempre più pervasive. l'influenza a partire anche dalla nostra fiducia in questa ideologia, in questa idea prettamente moderna, che è l'idea di un progresso, che è estrettamente connessa al modo in cui il capitalismo ha orientato questa visione di progresso. Ecco, ci sono due modi che oggi a mio parere sono...
dentro il dibattito sono forme centrali di, come dire, intreccio del futuro nel presente, sono appunto la questione del cambiamento climatico e delle sue politiche.
Paola l'ha spiegato bene, noi abbiamo avuto un cambio di passo che si è strutturato sull'idea dello sviluppo sostenibile ma che in qualche modo l'ha portata all'estremo di una scommessa ed è questa idea appunto che viene conosciuta nel dibattito come capitalismo verde.
E' stato citato anche prima il passaggio dei cosiddetti gloriosi anni 30 ad oggi, per dirla in due parole, poi le mie slide magari aiutano a completare, cosa succede se fino agli anni 70 il patto sociale di base che aveva che si strutturava poi in sviluppo e welfare nelle due parti del mondo, aveva questa idea di patto, lavoro, capitale, basato sulla crescita, quindi un patto che metteva al centro un produttivismo e una crescita che non diminuisse il gap.
tra le persone ma in qualche modo aumentasse la torta, beh questa torta non si è potuta aumentare all'infinito. Lo sviluppo sostenibile ha provato a metterci, come ha spiegato bene Paola, una toppa. La scommessa del capitalismo verde che sta pienamente dentro il regime speculativo della finanziarizzazione neoliberista, cioè questa idea di continuare a spostare in là i limiti della vivibilità sperando che in qualche modo creare turbulenze nel sistema sia solo un'occasione per fare denaro sul modo in cui queste turbulenze risolvo, perché questo è il principio anche su cui la finanza funziona, ci ha dato questa splendida idea del capitalismo verde e cioè dell'idea che la crisi climatica potesse essere ancora una volta non solo soluzionata dal mercato, ma una soluzione per il mercato, cioè la crisi climatica come spazio di espansione dell'economia. A netto di cosa? A netto di un non dialogo con le parti sociali. Il lavoro non è contemplato. E questo lo dicevano bene anche i miei colleghi prima. Questo ha creato, ha significato un'espansione dei mercati effettiva, nel senso che sono emersi nuovi asset naturali, come le foreste, i servizi ecosistemici, un'economia degli scarti, nuovi mercati finanziari come i carbon markets, nuovi paradigmi produttivi. ed è una transizione dall'alto dove all'attore economico privato, cioè l'impresa, è dato il compito di protagonizzare questi mercati, cogliere queste opportunità di crescita e appunto realizzare la transizione.
Ci hanno creduto, io vorrei dire che pensavano realmente di fare questo nuovo regime ecologico del capitalismo.
Un modo per osservare come questo si è concretizzato e come si è evoluto, almeno io l'ho fatto proprio appena. a partire dalla questione dello sviluppo agricolo. Qua sarà un po' assertiva, perché vedo già che il tempo scorre più di quello che immaginavo, perché sostanzialmente, in particolare a partire dal periodo del post-crisi 2007-2009, lo sviluppo agricolo è stato, a mio avviso, un enorme campo di sperimentazione ideologico e sostanziale di quello che è stato il capitalismo verde. e noi abbiamo, ve lo dico brevemente, qua vi ho messo alcuni report con delle date che dovrebbero darci un po' l'idea, a seguito della crisi del 2007 e del 2008 segna che cosa? Il collasso del sistema finanziario globale, ma anche una delle più grandi crisi alimentari.
che il mondo ha vissuto. In quel periodo, in una particolare congiuntura di cui adesso non potrò darvi conto, noi vediamo un moltiplicarsi di iniziative che rimettono al centro la questione della sicurezza alimentare, la questione dello sviluppo agricolo sotto però delle vesti completamente nuove. Da un lato nuovi attori, il G8, il Fondo Economico Monetario, insomma nuovi attori che si interessano alla questione e dall'altro l'agricoltura come una strategia di sviluppo in sé e per sé, una climatizzazione dello sviluppo agricolo, l'agricoltura come un campo di sperimentazione per forme come la Clima Smart Agricultural, quindi l'agricoltura come fornitrice di servizi ecosistemici, come fornitrice di crediti carbonio, come spazio dove si può andare a inserire i processi di digitalizzazione del vivente in maniera molto forte.
tutto un prodigarsi, per dirlo molto velocemente, di discorsi su questo ruolo dell'agricoltura come spazio, diciamo, di espansione di questa logica di triple win, veniva detta, in cui vince il clima, vince l'economia e vincerebbe di conseguenza anche una non chiara società.
Un po' prima, perché se vedete i primi due precedono la crisi del 2007-2008, uno dei territori dove questa strategia doveva concretizzarsi era in particolare quello dell'Africa subsahariana.
Anche qui, mi perdonerete, vado un po' veloce, però cosa abbiamo? Abbiamo un rilancio, una sostituzione dello sviluppo con questa idea di filo capitalismo filantropico, ma c'è una parola che adesso non mi sta venendo, un report della banca mondiale che dice svegliamo questo gigante dormiente e dentro questo report si dice sostanzialmente l'Africa ha uno spazio enorme di risorse ambientali, naturali che potrebbero entrare dentro questa logica del nuovo capitalismo vero. verde che potrebbero essere messe a servizio e sfruttate come compensazioni e spazio di mitigazione per tutto quello che noi produciamo ed inquiniamo nel nord del mondo. Secondo me è molto eloquente anche questa rappresentazione dell'Unione Europea che l'Unione Europea fa nel 2013 del continente africano, un continente dove l'urbanizzazione si sta espandendo, che viene però rappresentato come un'immensa disponibilità di terra al cui centro far crescere una piantina di giatrofa, principale biofuel. coltivato in quel momento.
Vado un po' veloce perché quello che vorrei arrivare a dirvi e vorrei poi riuscire a portarvi nell'evoluzione è che effettivamente Questa prima fase di politica del cambiamento climatico ha finito per espropriare più persone dalla loro terra di quante ne abbia espropriate il cambiamento climatico stesso.
È stata accompagnata non solo da un'espansione intensiva, diciamo, delle frontiere estrattiviste, sia per quanto riguarda la necessità di nuovi materiali che alimentano, per esempio, la transizione energetica, la transizione digitale, la transizione all'elettrico, ma più propriamente questi nuovi mercati di valorizzazione della natura hanno reso la terra, le foreste e gli ecosistemi, diciamo, dei nuovi asset dentro mercati altamente speculativi. Quindi c'è stato un crescente interesse ad accapparrarsi queste risorse dentro quadri dello sviluppo, scusate se torni dietro, variati che andavano a dire che cose, questo è importante per farci capire anche la logica sociale dentro cui si è innessato questo discorso, a dirci beh Il nuovo protagonista di questa fase di sviluppo non è più quello che, se voi vi ricordate, le locandine della Banca Mondiale o degli altri enti di cooperazione che abbiamo sempre visto negli anni 80-90 dove c'erano i bambini, le donne, no? C'erano tutti questi soggetti che erano loro che dovevano essere sviluppati. No, non ci interessa più.
è la terra, che deve essere data a questo nuovo attore dello sviluppo verde che è l'imprenditore privato. Quindi fatevi da parte, se volete lavorate per questa nuova imprenditoria privata, integrate le grandi catene globali del valore, però non siete più il soggetto, al di là che noi possiamo criticare cos'è stato lo sviluppismo, ma il concetto è chiaro, non siete più il soggetto centrale dello sviluppo. Ci interessa in questo momento inserire nuove risorse in un mercato globale, green, con una promessa specifica che è quella della mitigazione con nuovi attori.
Qual è il punto? Paola l'ha detto con un grafico, io ve lo dico con delle ricerche.
La maggior parte per esempio degli investimenti agricoli per la produzione di agrocarburanti nei primi anni 2000 è fallita. Io ho studiato dieci investitori italiani che sono andati in Senegal. L'Italia è stata il secondo investitore nel continente dell'Africa subsahariana, nonostante si parli spesso di Cina, ma è più una diceria. La Cina non è stata un grande attore nell'accapparamento delle risorse, lo è stato molto più il governo italiano e gli imprenditori italiani. ma sono falliti per esempio anche i piani di compensazione delle emissioni attraverso privatizzazioni di foreste che hanno ottenuto, vi avevo messo qui un piccola immagine, sono stati altamente contestati perché sono andati di pari passo con l'esclusione delle popolazioni che in quelle foreste non solo ci abitano, ci vivono, le utilizzano come risorse ma che hanno garantito la loro esistenza fino a quel momento perché noi siamo sempre dentro quadri di territori che se sono arrivati fino ad oggi ci sono arrivati grazie alle persone che ci abitano e non nonostante loro.
E anche qua mi scuso per essere assertiva. Dove siamo adesso?
Mi mancano dieci minuti, sono andata molto veloce perché speravo di arrivare alla fine. Poi se ci sono domande, Quello che vi sto raccontando, diciamo, nonostante questi risultati ci arrivino oggi giorno, è già quasi preistoria del capitalismo verde.
Perché in qualche modo questa prima fase, che è stata una fase fallimentare, che è durata comunque una ventina o una trentina di anni, avendo incontrato tutta una serie di fallimenti concreti, cioè non è che non è solo riuscita ad abbassare le emissioni, ma non ha neanche generato quell'incremento di capitale e lavoro che veniva promesso, quindi il fallimento è da entrambi i lati. Nel frattempo sappiamo come si è evoluta l'economia globale, sappiamo come si sta concentrando la ricchezza e lungo quali vettori. Infatti cosa incontriamo oggi? E per quello io dico che l'agricoltura, nonostante io non mi sia mai voluto occupare di agricoltura, ma continuo a farlo da anni, perché a mio parere lo sviluppo agricolo ci dà veramente un quadro dell'evoluzione di questa politica di governance del presente attraverso questa promessa del futuro. Perché adesso il modo in cui l'agricoltura continua a essere reinserita come elemento chiave di strumento mitigatorio, l'agricoltura ci permetterà di garantire una food security globale perché abbiamo sempre il problema più che reale della sovrapopolazione, quando in realtà spesso si dice ma come faremo a nutrire 5 miliardi, 6 miliardi di persone? Dico beh in realtà i dati ci dicono che questi 6 miliardi di persone sono giornalmente nutrite dai piccoli agricoltori che portano sui mercati locali la maggior parte del cibo. L'agroindustria nutre principalmente maiali, mucche, quella è una vera sovrapopolazione ma anche queste non ne parliamo. Comunque Adesso ci parlano molto di questo, non so se queste immagini vi dicono qualcosa, se ne avete sentito parlare alla radio o via dicendo, ma praticamente in questo momento una delle dimensioni chiavi dentro cui l'agricoltura viene ripresa in questa nuova narrazione su come si risolverà la crisi climatica è quest'idea di agricoltura digitale, che ha una storia, che non vi racconterò, ma che tiene insieme diciamo più momenti, sicuramente un'idea che ci viene dagli anni 80 di agricoltura di precisione, che vuol dire gestire la diversità per adattarla a un'uniformità della monocultura, ci viene dentro quell'idea di climate smart agriculture, però c'è anche dentro per esempio nel contesto europeo, a questo nuovo passaggio che è quello della Twin Transition, che è il modo in cui si è velocemente declinata l'idea di Green Deal, di Green Deal europeo. Il Green Deal europeo, che veniva dopo la grande tragedia del Covid, aveva, se vogliamo, individuato dei buoni strumenti. Ci aveva detto, dopo 20 anni di politiche, a rubinetti chiusi, aveva detto se vogliamo fare la transizione dobbiamo mettere i soldi pubblici. Però l'obiettivo era sbagliato, no? Perché l'obiettivo era molto dentro quest'idea che veniva detta di decupli, no? Per esempio per l'agricoltura il ruolo della digitalizzazione ha preso sempre più piede. Al punto, e vado molto veloce, che appunto nel 2022 diciamo che ne abbiamo una traccia nella Farm to Fork, dove però abbiamo anche degli elementi più prettamente ecologici, quelli che saranno poi l'oggetto per esempio della protesta, dei trattori e via dicendo. Poi pian piano con l'invasione della Russia in Ucraina e me la questione della sicurezza diventa anche un elemento per, vi ho messo un articolo dove lo analizziamo con alcuni colleghi per accusare la strategia europea di essere troppo ecologista e vediamo questa forte virata verso questo green and digital future dove il foresight scenario dell'Europa, adesso non ho tempo di leggerlo però, diciamo coniuga la sostenibilità direttamente sull'asse della digitalizzazione, però anche qui.
Cosa vuol dire? In che momento la digitalizzazione è diventata sinonimo di progresso? Chi è che ha il potere di immaginarsi questo futuro? Io qua vi ho messo quelli che ho citato Svingedo, viene chiamato i cosiddetti i tech bros, insomma i principali CEO delle principali società tecnologiche che stanno capitalizzando enormemente in questo momento e qua vedete vi ho messo a capo una delle classici cicli di hype per le tecnologie, perché Anche qui vado veloce, mi mancano tre minuti, poi magari se ci sarà un dibattito, se no ve l'avevo detto che sarei stata assertiva, perché fondamentalmente questo scenario qua è uno scenario, guardiamolo bene, che ha molto di promessa, ancora una volta molto poco di realizzazione.
Insieme ad altri colleghi abbiamo studiato per esempio il processo di digitalizzazione dell'agricoltura in Italia, un processo che esiste, è molto lento, ma avviene su che basi?
Avviene su tre direttive.
Intanto avviene con fondi pubblici.
principalmente, unicamente, in un totale de-risking per l'impresa privata, avviene a discapito di un azzeramento della questione salariale del lavoro, perché se vedete il soggetto di questa transizione non è il lavoratore salariato e non è neanche la piccola e media impresa che sta scomparendo in Italia, in un contesto di abbandono del territorio e deficit del ricambio generazionale tremendo ed avviene avendo completamente radicato dal dibattito pubblico ma anche accademico quello che con fatica era riuscito ad entrare anche dentro le maglie della governanza europea e c'è la prospettiva del cambio di paradigma che l'agroecologia per esempio aveva portato in maniera in maniera forte. Quindi, diciamo, siamo di nuovo in una transizione dall'alto. Siamo di nuovo dentro una forma d'immaginazione del futuro, questa volta fortemente improntata dentro il digitale, in qualcosa che non si sa se avverrà, ma nel frattempo noi siamo qui, con un'Italia, come dire, disastrata, con i territori in via d'abbandono.
Vediamo quanto mi manca.
vado alle conclusioni perché sarebbe bello se la storia finisse qui.
Perché in qualche modo, diceva in un newsletter che ascoltavo qualche tempo fa, non mi ricordo adesso chi era l'autore, dicevano, se fossimo qua eravamo felici e non lo sapevamo. Perché oggi?
siamo qua, però ci arrivo subito.
Per arrivare alla conclusione, anzi questo lo teniamo, vi avevo messo una slide per dire come poi dentro il dibattito queste fallimenti diciamo delle promesse di crescita verde siano state messe a tema anche come sistemi di anticipazione delle rovine, creare un presente di rovina in attesa di una rovina futura.
Dove siamo oggi?
Vado veloce, posso prendere un minuto solo, poi chiudo.
Allora, oggi siamo qua però. Siamo in che cosa? Siamo in un passaggio rapidissimo, perché il Green Deal sono gli anni 20, 2020.
Next Green and Digital Transition, quindi questa totale, diciamo, preponderanza dell'elemento digitale che era presente ma era affiancato anche da altri elementi e diventa l'unico elemento e la parola Ecological sparisce dai testi europei, nel PNR non c'è più, c'è Twin, Green e Digital Transition, oggi siamo alla Clean Transition, quindi non c'è più l'ecological, non c'è neanche più il green. Oggi c'è Competition, Security and Rearm.
Oggi siamo al già citato Trump, ma siamo addirittura dentro uno dei principali, principali fautori, diciamo, del filantro capitalismo, che era il fan Bill Gates, che fino a poco tempo fa, per quanto, diciamo, privatizzando le politiche pubbliche, diceva bisogna fare mitigazione, adesso dice la mitigazione non è più così importante, adattiamoci a cosa? A un disastro. Quale disastro?
Quello che, per esempio, possiamo vedere se contiamo come si sta riallacciando una certa forma del potere politico con quello che viene chiamato il cosiddetto beginning black clash, il rinculo del fossile. Sta ritornando, scusatemi, in inglese suonava meno volgare.
Dentro, quello che vorrei arrivare a dire e concludo, è che noi ci troviamo dentro un impasse, nel senso quello che vediamo oggi, e questa è una domanda che io pongo, è quanto è imputabile proprio alla corta visione di questi 30 anni di politiche verdi che non sono riuscite a mettere al centro la questione sociale, ma fallendo sistematicamente sulla questione sociale, hanno reso sostanzialmente inutile, come dicevi tu, non egemone, non sono riusciti a legare transizione ecologica a quello che i movimenti chiedevano, la transizione ecologica come un vettore dello sviluppo sociale, perché questa era la questione. Dentro questa crisi, questa incapacità della politica, nonostante a un certo punto l'obiettivo, cioè come dire, il mezzo fosse anche arrivato, perché il Covid ci aveva dato una lezione, quindi i fondi pubblici erano arrivati, noi ci troviamo con un nuovo ritorno del fossile, che qua va a avere una duica onografica abbastanza rappresentativa del ruolo, di quanto stanno aumentando i lobbisti del fossile dentro per esempio l'attuale COP30, ma quello che a me preoccupa di più e lo vediamo nel caso dell'Italia lo stretto legame che si sta strutturando tra imprese del fossile e per esempio il governo italiano. E chiudo con una ricerca che abbiamo incorso con un collega che riguarda di nuovo l'agricoltura, questo per dirvi che non smetterò di occuparmi del tema nonostante ci provi da anni, perché è proprio Leni, accaparandosi la maggior parte del Fondo per il Clima, dentro il piano Mattei dell'Africa, che è una prosecuzione di quella politica dei biocarburanti che vi ho brevemente accennato prima, consta prendendo tempo per aumentare l'estrazione fossile, in particolare nel contesto africano, dentro un piano che vede.
un'apertura di nuovi giacimenti, un'intensificazione di estrazione del fossile e un processo di diversificazione e presa di tempo attraverso di nuovo il ritorno degli agrocarburanti e lo sviluppo diciamo di piani green e chiudo veramente, scusatemi ho preso troppo tempo, solo per dire nello stesso modo del land grabbing che vi ho elencato prima però questa volta non più a rischio privato perché qua i soldi sono tutti pubblici.
[01:11:59] Speaker A: Grazie mille Maura.
Grazie. Allora adesso abbiamo l'ultimo intervento di Alice Dalgobbo dell'Università di Trento che si è occupata di sostenibilità, movimenti ambientali e anche di ambiente e vita quotidiana. Quindi le chiedo se è connessa. Provi a parlare così verifichiamo se la sentiamo.
[01:12:21] Speaker D: Mi sentite?
[01:12:22] Speaker A: Sì, ti sentiamo bene.
[01:12:24] Speaker D: Buonasera a tutti e tutti.
[01:12:25] Speaker A: Se vuoi, però non ti vediamo ancora.
[01:12:28] Speaker D: Io dovrei avere la videocamera accesa.
[01:12:33] Speaker A: Eccoci qua.
[01:12:34] Speaker D: Salve, buonasera a tutte e tutti. Ho delle slide molto minimali così non dovete stare a guardare la mia faccia gigante per 20 minuti.
[01:12:43] Speaker A: Grazie, ti chiedo solo se riesci, lo so che è un po' antipatico di stare sui 20 minuti perché siamo stretti, grazie.
[01:12:53] Speaker D: Dovrei essere tarata sui venti minuti.
Vedete la mia condivisione a schermo? Vedete le slide?
[01:13:06] Speaker A: Eccole.
[01:13:07] Speaker D: Sì, d'accordo, grazie.
Dunque intanto appunto di nuovo grazie, grazie a tutti per essere qui, per l'invito a questa giornata molto interessante. Devo dire che anche io come Maura ho anche un background in filosofia oltre che in sociologia quindi sono molto felice insomma di essere virtualmente qui questa sera dovevo essere in presenza purtroppo impegni familiari non mi hanno permesso di muovermi da Trento oggi. però sono contenta comunque di poter portare il mio contributo.
Dunque, inizio.
Il mio tema, il tema che porto oggi è quello delle emozioni nella lotta per la giustizia climatica.
In particolare mi concentro un po' sul tema della speranza e la prefigurazione nel contesto della crisi. però ecco un po' premetto che comunque questi sono dei pensieri e delle riflessioni che stanno emergendo nell'ambito di un nuovo campo di ricerca per cui mi permetterete anche se sono diciamo più esplorativa che assertiva richiamando le parole la collega e dunque parto da un punto sul concetto dell'antropocene politico ma rifacendomi a quello che forse al titolo che è stato dato a questa giornata che è quello della filosofia di fronte alle opportunità del futuro e quello che un po' mi vorrei chiedere anche in apertura della mia della mia presentazione è se effettivamente il futuro si costituisce come un'opportunità o piuttosto come una o piuttosto come una catastrofe o piuttosto come un punto di domanda e diciamo che la risposta che si dà a questa domanda ha una forte significatività di fronte al tema o in relazione al tema delle emozioni per quanto riguarda il cambiamento climatico.
perché sappiamo che sia il cambiamento climatico in sé che le mobilitazioni contro le politiche attuali o le condizioni attuali di economia e ecologia politica sono fatte spesso sulla base di un sentire, anche di una sofferenza comune nel guardare a un futuro che è visto come un'apocalisse o come quello che viene anche chiamato una post-apocalisse, cioè l'idea che l'apocalisse sia già qui oggi.
E quindi piuttosto che dal tema delle opportunità, lasciando un po' aperto cosa sia di fatto il futuro, vorrei partire invece da un altro concetto che è quello di crisi, che è chiaramente un concetto che è già emerso oggi nelle relazioni che mi precedevano.
ma che mi serve un po' come punto di partenza. La crisi di oggi, che forse non ha neanche la necessità di essere nominata tra guerre, crisi climatica e ambientale, migrazioni forzate, povertà dilagante, lo sciovinismo delle nuove destre che fanno sì che di fatto tutte le politiche che vediamo ci mettono di fronte a una crisi anche proprio sociale in cui i diritti di base raggiunti in molti decenni dalla lotta dei soggetti cosiddetti minori per esempio i razzializzati, i femminizzati, i queer vengano di fatto messi in discussione. In questo contesto vediamo come effettivamente si intreccino degli elementi sociali e degli elementi ecologici, per questo forse oggi io parlerò come in generale si parla di crisi socio-ecologica piuttosto che semplicemente sociale o semplicemente ecologica o climatica, perché di fatto quello che il presente ci pone di fronte è che non soltanto le istituzioni e le relazioni sociali per come si sono costituite negli ultimi secoli dimostrano di non rispondere più alla necessità e ai bisogni reali di diversi soggetti o della maggior parte dei soggetti che le abitano, ma anche che la cosiddetta natura, per come è stata pensata, cioè come qualcosa di esterno rispetto alle istituzioni sociali, facendo irruzione in modo significativo nella quotidianità e nelle istituzioni sociali stesse, in qualche modo le mette in discussione e sta mettendo in discussione il modo in cui le istituzioni umane si sono relazionate nel corso della modernità e del capitalismo con appunto il resto della natura.
Diciamo che questo intreccio, questa nuova necessità di pensare l'essere umano come qualcosa che è fondamentalmente legato e collegato al resto della natura, viene spesso tradotto o comunque veicolato con il concetto di antropocene.
L'antropocene è questa idea del fatto che viviamo nell'era degli esseri umani, segnata dall'impatto degli esseri umani che avrebbero quasi un potere geologico, come direbbe Amitav Ghosh di terraformazione.
E però sappiamo anche, come è stato evidenziato in molta letteratura, in molta critica, che l'antropocene di per sé non è una categoria neutra, non è un concetto neutro. ma che da un lato ovviamente parlare di Antropocene come appunto era degli esseri umani è qualcosa che appiattisce le responsabilità di fronte alla crisi non mettendo in evidenza per esempio la responsabilità tendenzialmente di soggetti maschi, bianchi, istruiti e proprietari rispetto agli altri nel mondo E però questo punto, questa modalità di lettura e di critica dell'antropocene ci suggerisce che la crisi socioecologica stessa sia un evento da interrogare in modo critico, riflettendo per l'appunto sulle politiche che essa implica.
Quello che però fa anche questo concetto di Antropocene, se vogliamo, preso in un modo critico, è proprio il fatto che ridisegna in qualche modo il senso profondo della politica e della politica nella modernità.
Quindi non soltanto, per esempio, le istituzioni della democrazia rappresentativa in sé o le istituzioni liberali, che non riescono a far fronte alle sfide climatiche ambientali, ma anche proprio l'idea profonda di politica come qualcosa che si basa su una distinzione per esempio tra la società e la natura, tra la mente e il corpo e che quindi in qualche modo chiede di aprire dei nuovi modi di fare politica, che per esempio chiede come includere gli esseri non umani nella politica e ancora di più, nel senso ancora di più forse rispetto a quello su cui vorrei ragionare oggi, è come far sì che dentro la politica possano esserci, possano starci anche il corpo e anche le emozioni che sono degli aspetti che per l'appunto sono stati marginalizzati negli ultimi secoli nel concetto soprattutto di democrazia liberale, ma che allo stesso tempo sono quei ponti, quella materialità incorporata che fa da ponte tra la società umana e il resto della natura.
Quindi la domanda nel contesto dell'antropocene e della crisi che esso implica nei confronti della politica o delle politiche contemporanee che mi pongo oggi è proprio che ruolo possano avere o vengono ad avere le emozioni in un contesto di profondo cambiamento e radicale.
Si tratta di un punto che in realtà non è ancora stato integrato da parte delle istituzioni ma che sicuramente invece viene attenzionato da parte di molti movimenti per la giustizia climatica e questo per esempio è estremamente evidente nel caso di alcuni movimenti come Extinction Rebellion, ma non solo, dove non soltanto le azioni che questi movimenti portano avanti hanno una forte carica emotiva, che serve per rendere evidenti, sensibili e significativi i temi legati all'emergenza climatica, ma che curano anche l'aspetto, scusate il gioco di parole, della cura emotiva e affettiva, dandone un grosso peso all'interno dell'organizzazione del movimento.
In questi casi, dal mio punto di vista, si vede come effettivamente il corpo dei singoli soggetti, ma anche il corpo collettivo del movimento in qualche modo, siano intesi in continuità con il resto della natura e in particolare con le ecologie planetarie. e come la cura di questi stessi corpi vada di pari passo con quella del pianeta o del resto della natura, se vogliamo, come per esempio è evidente di nuovo nel caso di Extinction Rebellion nel tema della cultura rigenerativa.
In particolare, nel momento in cui si guarda alle emozioni nel contesto della crisi climatica, ci sono secondo me due livelli da analizzare.
Ci sono da un lato delle emozioni, se vogliamo, di reazione rispetto a questa situazione, cioè sono le emozioni che emergono nel momento in cui i soggetti si prendono atto del contesto di crisi in cui vivono. e sono per esempio l'ansia, la paura, ma anche la rassegnazione nel caso appunto di situazioni in cui ci si senta che non è possibile andare oltre e superare questo momento di impasse, ma c'è anche la rabbia, lo sdegno, il risentimento, la tristezza, la frustrazione.
Se vogliamo, richiamando un po' la taxonomia spinoziana un po' rivista, visto che siamo in un contesto anche filosofico, faccio quello che quando parlo in contesti sociologici spesso mi autocensuro, cito un filosofo che per me è stato molto importante, Gilles Deleuze, che appunto riprende questo concetto di affetto, di affetto triste e affetti gioiosi da Spinoza.
chiaramente le emozioni che ho nominato finora, che sono quelle che emergono nel momento in cui ci si confronta con questa realtà di crisi, di crisi ecologica, rispondono a degli affetti tristi, all'idea che gli esseri umani si trovano in questo contesto divisi, separati sia dal resto della natura che dalla propria propria capacità di agire in modo intelligente o effettivo sul sul resto della natura o per cambiare la situazione in cui vivono.
E quello che dal mio punto di vista è abbastanza interessante è che poiché i destini umani sociali e naturali si danno come intrecciati in questa situazione di chiamiamola così dell'antropocene, poi possiamo decidere se è una crisi o no, le emozioni negative che si accumulano contro questa situazione sono anche delle emozioni che in qualche modo legano forme di vita diverse, legano gli esseri umani a tutta una serie di altri esseri viventi che magari sperimentano della sofferenza, anche essi.
Tuttavia c'è anche appunto questo, e qui mi richiamo anche un po' al titolo appunto di questo evento che è quello sull'opportunità, pensare alla crisi in questo contesto e dentro anche questa sfera emotiva complessa se vogliamo appunto che richiama anche tutta una una sorta di chiusura e di negatività è anche se vogliamo possibile è stato fatto e il fatto di partecipare ai movimenti per esempio per la giustizia climatica ma anche ad altre forme di movimenti è qualcosa che riesce a spostare o a risignificare questa condizione di crisi e a portare questo tipo di affettività in un'altra direzione e quindi, come per esempio diceva Turner, in questo caso il contesto di crisi diventa, se vogliamo, uno spazio ambivalente, uno spazio eliminale che ha anche il potere di aprire la realtà.
e gli spazi collettivi che agiscono e portano avanti le rivendicazioni di fatto fanno questo lavoro di risignificazione emotiva della crisi climatico-ambientale ed ecosociale. E infatti nel momento in cui guardiamo alle emozioni che si legano alle lotte per la giustizia climatica, vediamo anche che c'è tutto un altro repertorio emotivo che si sviluppa in questo ambito che ha a che vedere con degli affetti invece molto più gioiosi, sono per esempio appunto la speranza, la gioia, l'amore, il rispetto, la cura e anche un risentimento qui inteso in un altro senso, un risentimento se vogliamo in qualche modo risignificato rispetto a quel risentimento che funziona da diciamo dispositivo di chiusura dei soggetti che in qualche modo lasciano, abbandonano ogni possibilità eh di cambiamento e invece restando dentro un orizzonte se vogliamo oscuro anche no? Eh della realtà ma invece un risentimento che eh diventa una una spinta, una forse una positiva, quasi una rabbia no? Capace di di spingere ad opporsi a quello a quello che è, a quello che esiste.
quindi il ruolo centrale in questo senso delle emozioni nella lotta per la giustizia climatica è da un lato quello di condensare ed esprimere una situazione di profondo disagio che sia umano e non umano verso una realtà di degrado ecologico in cui la terra è stata precipitata, piuttosto che è precipitata, ma anche di avere la possibilità di attribuire responsabilità per i danni e canalizzare la rabbia verso degli obiettivi specifici, degli obiettivi se vogliamo giusti, che sono per esempio quelli che si mettono in campo nel momento in cui si contesta il termine antropocene per dire non siamo d'accordo che tutti i soggetti, che l'umanità sia la responsabile di questa crisi, ma nominiamo.
coloro che ne hanno le responsabilità.
L'altra cosa che è possibile evidenziare rispetto alle emozioni è la loro capacità di politicizzare non soltanto la lettura della crisi climatica, quindi chi è stato responsabile di, ma anche le risposte alla crisi climatica. perché anche nel momento in cui, per esempio, si usa l'evidenza scientifica come uno strumento per rivendicare politiche verso la giustizia climatica, allo stesso tempo l'utilizzo delle emozioni, questo lo si vede anche nel discorso dei movimenti, tende a togliere quest'area aura neutrale che normalmente riveste il sapere scientifico per risignificarlo come un'urgenza che è posizionata, che ha delle ricadute ineguali su diversi soggetti, che sono anche diversi corpi e che per questo quindi va interrogata in modo critico. Infine le emozioni sostengono la desiderabilità della lotta e della mobilitazione per l'appunto grazie ad emozioni come la speranza e a immaginari o fantasie condivide se che possono essere anche cariche da un punto di vista se vogliamo libidico, libidinale come quelle legate a un futuro di rapporti risanati tra umani e il resto della natura.
c'è anche viceversa un ruolo dell'attivismo eh nei confronti delle emozioni perché di fatto.
[01:32:20] Speaker A: Quello scusa ti posso chiedere so che è antipatico ce la fai a chiudere.
[01:32:25] Speaker D: In tre minuti sì sì assolutamente appunto dicevo c'è un ruolo dell'attivismo nel trasformare gli affetti tristi in affetti gioiosi proprio attraverso la chiave fondamentale della speranza che diventa un'emozione trasformativa. Di fatto un'emozione che traduce proprio nel senso letterale del termine cioè che porta da una parte all'altra le emozioni tristi della diagnosi a quelle gioiose della prognosi cioè della necessità della trasformazione socioecologica. e in questo contesto si pone la tensione anche prefigurativa, cioè questa volontà di agire nel qui e ora il cambiamento che si vuole vedere da parte dei movimenti per la giustizia climatica e questa tensione ha un significato in questo quadro abbastanza peculiare nel senso che non soltanto questo tipo di realizzazione di un cambiamento vogliamo di configurazione socioecologica ma anche della realizzazione, forse Paola lo menzionava prima, della felicità cioè della buona vita, del costruire una buona vita per gli esseri umani e per i non umani nel qui ed ora.
Chiudo con l'ultima slide appunto rifacendomi alla citazione di Deleuze Quello che a me sembra che si possa un po' sottolineare rispetto alla politica delle emozioni nel contesto della crisi climatica è che nell'antropocene l'immanenza che di fatto è una categoria ontologica che ci dice che tutte le cose stanno su un unico piano di esistenza, nell'antropocene diventa una categoria politica che spiega l'importanza appunto delle emozioni. L'antropocene infatti suggerisce che i destini della terra e dell'essere umano sono intrecciati, quindi immanenti gli uni agli altri, e che la società è immanente alla natura, agli ecosistemi, e che è impossibile scenderli, e che le pratiche individuali e collettive sono parte della natura, la riscrivono riscrivendosi. E infine che il simbolico e il materiale vanno insieme, cioè non c'è un pensiero senza corpo e non c'è politica non solo senza natura ma anche senza emozione.
Ovviamente in questo il fine della politica e i suoi mezzi coincidono perché la realtà della crisi climatica è qui e ora, non si può trascendere, non può essere rimandata a un'altra realtà. Quindi l'utopia deve essere per forza concreta.
In questo contesto il lavoro prefigurativo dei movimenti per la giustizia ambientale e climatica è prefigurativo in quanto mette in pratica nel cui ora un cambiamento che si vede non solo come necessario e urgente ma il cambiamento incorpora la lotta e la rende affettiva in modo imprescindibile.
E quindi fare politica oggi è anche portare le emozioni e il corpo assieme alle pratiche al centro delle rivendicazioni.
Chiudo con quest'ultimo pensiero. La nuova centralità delle emozioni dentro la lotta per la giustizia climatica è allora da intendere come l'espressione di una nuova logica politica di immanenza, in cui il senso della politica moderna viene messo in discussione alle sue radici. dall'universalità scorporata e autonoma della ragione alla posizionalità e parzialità di corpi contestuali, fragili e interdipendenti. Questa interdipendenza è espressa dalle emozioni che sono degli strumenti potenti per risignificare la dipendenza ecologica e quindi la necessità di cura verso sé e verso il vivente. Grazie.
[01:36:28] Speaker A: Grazie grazie mille Alice per la presentazione molto suggestiva sia nel contenuto che nella forma.
Allora abbiamo poco tempo e me ne scuso abbiamo anche ricevuto questo avviso proprio che viene dal muro con questa voce metallica quindi l'autorità suprema ci chiama ma direi che qualche minuto per qualche domanda breve con qualche risposta breve ce lo possiamo dare direi una decina di minuti massimo perché poi abbiamo bisogno di una chiusura quindi chiederei a chi vuole intervenire su questi interventi di quest'ultima sessione di alzare la mano se ha ancora un piccolo respiro vitale e non è stato abbattuto non dagli ultimi interventi ma dall'antropocene direi perché insomma questo ce lo possiamo dire.
No, a parte gli scherzi, vedo gli studenti un po' provati.
Non solo, mi dicono dal pubblico.
Corrado.
[01:37:44] Speaker B: Sì.
[01:37:51] Speaker C: Grazie a tutti e a tutti per essere venuti qua, per aver accettato l'invito, per aver portato queste prospettive e soprattutto per aver fatto sì che aver dato un po' un contesto di quanto è la teoria critica sull'ecologia al momento e di come unisce concetti filosofici con la ricerca sociale.
anche metodologicamente importante. Secondo me una linea di continuità tra i quattro interventi, o almeno come lo pensavamo quando mi avevamo invitato, è evidente è un problema di immaginazione anche la lotta al cambiamento climatico e è un problema di riarticolazione di un'immaginazione negativa in un'immaginazione positiva anche attraverso azione collettiva.
E quindi la grande domanda che faccio per chiudere questa giornata è avete tutti tutti tutti criticato molto bene quello che succede c'è un messaggio positivo che che possiamo portare. Come possiamo riattualizzare l'immaginazione in maniera positiva e pensare a un'azione politica partecipata che tiene in considerazione proprio tutte queste criticità che avete messo sul piatto.
[01:39:06] Speaker A: Eh vuoi partire tu Giorgio?
Eh con.
[01:39:18] Speaker B: Ma grazie per la domanda, currato e decisiva, perché nell'idea che mi sono fatto io della teoria critica c'è sempre questo rimando a una trascendenza nell'immanenza. A partire dalla diagnosi delle contraddizioni, delle crisi, comunque rilevare sempre nella realtà sociale dei potenziali di trasformazione che già operano sebbene siano bloccati o repressi e non trovino insomma adeguata articolazione. Quindi questo è senz'altro decisivo, questo risvolto positivo.
Secondo me c'è tanta intelligenza critica in circolazione, tante pratiche.
Forse Diciamo questo elemento un poco della politica anche, cioè il tentativo.
Quello su cui bisogna lavorare a mio modo di vedere è appunto questo passaggio dai movimenti anche poi a una politica che è capace di conquistare il consenso attraverso programmi insomma eh quindi ricette anche politiche e che possano anche poi essere insomma tradursi in in qualcosa di concreto. Io insomma qua e là ogni tanto emerge qualche qualche speranza anche su questo terreno no?
prima facevo riferimento Per esempio il programma che a un certo punto è stato sostenuto e portato avanti dai socialisti democratici statunitensi e abbiamo visto come a New York un esponente di questo movimento politico, Mandami, ha vinto le elezioni e il mio modo di vedere, insomma ecco, sono queste anche esperienze di vincenti anche di di politica che riescono a eh rimettere insieme diversi terreni di crisi e e però anche ad articolare anche una proposta che riesce ad avere capacità appunto controeggemonica, no? Questo secondo me questo passaggio che vuol dire anche poi programmi, cioè un po' sporcarsi le mani anche con la dimensione della politica che è qualcosa poi di molto complesso insomma.
[01:42:07] Speaker A: Grazie.
[01:42:11] Speaker F: Velocemente.
[01:42:13] Speaker E: Ovviamente siamo sempre, appunto come dicevi, molto bravi nella critica, poi dopo iniziamo un po' a barcollare, però in realtà io credo che questo senso di spesamento derivi anche dal fatto che subiamo e abbiamo profondamente radicato un senso di inferiorità, cioè noi riteniamo di non avere progetti rispetto al progetto egemone unico che si presenta come il migliore dei mondi possibili e che d'altronde non potremo mai sconfessare senza trovarci nel vuoto. Quindi in qualche modo il capitalismo è questo il sistema, questo è l'unico e anche se non vi piace non siete in grado di produrre un'alternativa. Io credo che dovremmo avere la forza innanzitutto di cambiare attitudine e credere e uscire da questa inferiorità, innanzitutto perché il capitale si rivela una spina nel fianco di qualsiasi comunità, quindi io direi che possiamo smettere di chiamare il sistema che porta alla modernità, che porta alle soluzioni, perché poi anche nelle cose più pratiche, nella vita quotidiana, mi è venuto in mente in particolare un caso che mi ha fatto molto riflettere su questa roba del migliore dei mondi possibili, cioè quando c'è stata la Dana a Valencia che ha ucciso 230 persone l'anno scorso, in cui alla fine le persone come si sono salvate? con la tecnologia, con le aziende. No, le aziende mandavano le persone a lavorare e non le hanno dato il congedo climatico, la possibilità di stare a casa per assicurare di non fermare il traffico di merci e quant'altro. Moltissime persone sono morte proprio nella tratta di ritorno da lavoro e le persone sono salvate grazie alle relazioni comunitarie che avevano. Si sono salvate di più dove queste relazioni erano più solide. Si sono preparate da mangiare perché avevano relazioni di vicinato.
Le persone i vicini di casa andavano a verificare se la persona che era rimasta bloccata dal secondo o dal terzo piano perché il fango aveva occluso le strade fosse viva o morta. Cioè noi dobbiamo smettere di pensare di essere incapaci quando poi dimostriamo che l'organizzazione sociale, le relazioni sociali sono la risposta di fronte innanzitutto alle esigenze vitali che il capitale non solo non riesce a preservare ma che addirittura rispetto alle quali costituisce un elemento di rischio. Detto questo poi, chiudo velocemente, uscire da questo senso di inferiorità significa partire da quello che abbiamo intorno quotidianamente, che significa avere il coraggio di fare quel poco con chi abbiamo.
Io penso che sia stato molto interessante il mese scorso Il mese scorso Chris Small, che è un sindacalista statunitense diventato molto famoso perché è riuscito a costruire il sindacato dentro Amazon dove c'erano delle fortissime politiche antisindacali in cui proprio l'azienda investiva per disgregare quel tessuto sociale, quando gli hanno chiesto ma come avete fatto voi di fronte dei miliardari la sua risposta è stata guarda la persona alla tua destra, guarda la tua persona alla tua sinistra e iniziate a organizzarvi. questo è il punto cioè iniziare nel nostro piccolo capillarmente a organizzarci e costruire insieme perché poi teorie e frasi si costruiscono insieme.