Conferenza Integrale - Nominare, Periodizzare, Canonizzare il presente

December 15, 2025 02:26:24
Conferenza Integrale - Nominare, Periodizzare, Canonizzare il presente
Giornata Mondiale della Filosofia 2025
Conferenza Integrale - Nominare, Periodizzare, Canonizzare il presente

Dec 15 2025 | 02:26:24

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Show Notes

Registrazione integrale della conferenza “La Filosofia di fronte alle opportunità del futuro” per la Giornata Mondiale della Filosofia 2025, organizzata dall’Università di Genova e dall’Associazione Filosofica Ligure.

Tavole rotonde, interventi e dialoghi sui temi più attuali: crisi climatica, diritti, tecnologia, transumanesimo, religione, linguaggio e antropocene. Una riflessione sul ruolo della filosofia nel guidare pensiero critico, responsabilità e progettualità verso il futuro.

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Episode Transcript

[00:00:01] Speaker A: Allora di nuovo buongiorno a tutte e a tutti, benvenuti a questa celebrazione della Giornata Mondiale di Filosofia, che è davvero un'occasione rara e importante di incontro. Io mi unisco ai ringraziamenti che sono già stati affatti agli organizzatori, ma appunto mi unisco, desidero ripeterli, ringraziamenti all'Associazione Filosofica Ligure, alla Società di Filosofia di Castiglia e León, alla Rete Internazionale di Formazione, Cultura e Intercambio Filosofico per aver promosso questa giornata e per averla presentata in stretto collegamento all'agenda 2030 delle Nazioni Unite e agli obiettivi strategici dell'UNESCO in merito al valorizzare l'educazione e il dialogo interculturale, come abbiamo sentito ripreso anche dalla professoressa Baredes. Sono obiettivi che la filosofia persegue e promuove per sua definizione, d'altronde, come fini primari che si impongono come compiti urgenti per l'umanità. Fini di primaria importanza per l'umanità e la filosofia se li è sempre posti, ma oggi alcuni di essi sono più determinati e più urgenti in questa loro determinatezza. Avere uno sviluppo sostenibile, sviluppare una sensibilità ecologica, promuovere la cultura dei diritti umani per favorire l'obiettivo ultimo, la pace. Per questo è molto importante aver rivolto quest'iniziativa in primo luogo alle studentesse e agli studenti della scuola secondaria e dell'università, ma anche a tutte le persone interessate all'esercizio del pensiero e aperte alla passione, al voler provare la passione che il pensiero provoca e sostiene. La giornata mondiale della filosofia è stata celebrata per la prima volta il 21 novembre del 2002, dunque ci avviamo al quarto di secolo di celebrazioni e se andiamo sul sito dell'UNESCO la troviamo caratterizzata in maniera molto importante e significativa come disciplina critica radicale e di ricerca di principi etici fondamentali. come una disciplina ispiratrice, è questa la parola usata, cioè che stimola, suscita entusiasmo, illumina, interessa, motiva da una parte e come una pratica quotidiana che può trasformare le società dall'altra. [00:02:56] Speaker B: Come? [00:02:57] Speaker A: Come ci suggerisce l'UNESCO. Consentendo di scoprire la diversità delle correnti intellettuali nel mondo, la filosofia stimola il dialogo interculturale, risvegliando le menti all'esercizio del pensiero e al confronto ragionato delle opinioni, la filosofia aiuta a costruire una società più tollerante e rispettosa, aiuta a comprendere e rispondere alle principali sfide contemporanee creando le condizioni intellettuali per il cambiamento. Non siamo noi filosofi amanti della filosofia, amanti dell'amore per il sapere che lo diciamo, perché saremo parte troppo interessata, ma è l'UNESCO che dice questo della filosofia definendone il valore per le società contemporanee come progetto da realizzare ed esplicitando che la filosofia è un'attività, è qualcosa da fare, è qualcosa che bisogna esercitare e mettere in campo. La nostra prima tavola rotonda, che si lascia ispirare da queste posizioni dell'UNESCO, ha il titolo Nominare, periodizzare, canonizzare il presente. Un titolo molto pratico, molto operativo, perché periodizzando creiamo fatti, eventi, delineiamo qualcosa e fissando, canonizzando, prendiamo coscienza del nostro presente non come mero dato cronologico del calendario e degli orologi, ma come significato che esso ha per noi, creiamolo oggi. a differenza che attraverso calendari e orologi, che sono strumenti di misura, sono quantitativi, nominando, periodizzando, canonizzando, valutiamo e orientiamo a costituire passato, presente, futuro e a muoverci nessi. La nostra tavola è piuttosto impegnativa perché non è semplice dire presente oggi, che significato ha oggi dire presente in una società transnazionale che sembra non apprezzare la memoria, perché ciò che conte è appunto solo il presente. Ma rispetto a che cosa diciamo presente se non conosciamo il passato, i cambiamenti e non siamo in grado di valutare il positivo e il negativo che il presente, a differenza del passato, porta con sé. E anzitutto non è detto che il presente in quanto tale sia migliore del passato. Ben vengano le riflessioni su che cosa intendiamo per presente. In una società che sembra sempre proiettata verso il futuro, con parole che esprimono miti come innovazione, e non si accorge che il futuro, con le innovazioni che porta con sé e che non sono necessariamente positive in quanto eventualmente nuove, è già presente. E ha effetti sulle nostre vite, senza che noi ce ne accorgiamo. Il futuro già presente ci domina, ci orienta, ci controlla, senza che ne siamo consapevoli. e d'altra parte il futuro presente potrebbe e dovrebbe renderci consapevoli di problemi incombenti che riguardano già direttamente le nostre vite. ma sembra che non ci rendiamo conto della difficoltà e non riusciamo a visualizzare la difficoltà della situazione che viviamo sul nostro pianeta, diventato così piccolo per l'umanità e insufficiente per tutti i bisogni maturati, che non riusciamo ad affrontare la difficoltà del convivere di situazioni più simili a quello che possiamo definire come passato e di altre più simili a quello che possiamo delineare come futuro. In presenza di una uguale o quasi uguale cronologia a seconda dei calendari usati, Noi viviamo in contemporanea tempi diversi, passato e futuro ambedue presenti nel nostro pianeta, ma anche nei diversi continenti e nelle diverse società, ed è molto problematico riuscire a farli convivere con saggezza. Abbiamo bisogno di conoscere i tempi diversi che insieme viviamo e che vivono in noi, conoscerli per periodizzarli, che confini diamo al presente, conoscerli per valutarli, per valutare anzitutto il presente, per capire come esso è ancora passato ed è già futuro, capire la contemporaneità di tempi diversi e dei loro diversi valori che scondiscono le nostre vite generando conflitti, lacerazioni nell'individuo e nella società, paure. e per provare a comprendere come vogliamo, potendo, intervenire sul presente, per provare a non subire il futuro nei suoi tratti negativi che già si annunciano e provare a valorizzarne i tratti positivi che sono già presenti, in ambedue casi come responsabilità del passato, certo, ma ormai come responsabilità nostra del presente. non basta convivere bisogna cercare di condividere conoscenza e valutazioni per definire il presente che è già futuro come progetto di convivenza e in questa linea con questa ispirazione che propongo vorrei brevemente aprire i lavori della nostra tavola presentando i partecipanti alla tavola rotonda conoscete tutti molto bene, presentarli attraverso i titoli di alcuni loro scritti che ci fanno comprendere quali sono i loro temi di ricerca e di pensiero e così mettere in comune questa conoscenza che potremo poi approfondire appunto attraverso la lettura dei loro scritti. metterla in comune per conoscerci intanto oggi tra di noi, per entrare in dialogo tra di noi come comunità di persone che vogliono fare filosofia insieme, perché come diceva la professoressa Paredes la filosofia la si fa, non c'è altro modo. prima vorrei ringraziare da parte di tutti noi con particolare calore Simona Langella che interviene a questa tavola per la bella occasione di incontro ringraziando ancora la società filosofica genovese ricordando la sua gloriosa storia ma ricordando anche la sua filiazione con la società filosofica italiana e Simona Langella è presidente di questa che è anche una sezione della sfì. Io la ringrazio in particolare per l'invito a moderare questa discussione e mi presento. Ho insegnato storia della filosofia e insegno ora bioetica all'Università di Parma e sono anch'io membro della società filosofica italiana. Antonio Allegra insegna storia della filosofia all'Università per Stranieri di Perugia e ha scritto tra l'altro lo strano antropocene transumanesimo e postumanesimo nell'epoca del disincanto dell'uomo, un saggio in un volume da lui curato dal titolo Dopo di noi varianti e questioni del postumano del 2019. ha scritto anche visioni transumane tecnica salvezza ideologia nel 2017 e un altro studio metamorfosi enigmi filosofici del cambiamento del 2010. Marco Damonte insegna storia della filosofia all'università di Genova e ha curato con Simona Langella Antroposcene l'epoca dove non siamo numero della rivista Studium del 2025. Si è occupato anche di Specismo, storia filosofica di un neologismo, uno studio così intitolato del 2018. Ha partecipato al volume collettivo Essere bene relazionale fra teoresi e vita del 2021. Roberto Celada Ballanti insegna filosofia della religione all'Università di Genova e ha di recente scritto un saggio dedicato a progresso storico e progresso morale con riferimento a Leibniz in un volume dedicato al progresso morale. sfide, opportunità e prospettive future, volume che raccoglie le riflessioni proposte su questo tema al convegno annuale della Società Italiana di Filosofia Morale del 2024. E inoltre autore di uno studio che si intitola Universale, singolare e plurale per una filosofia del dialogo interreligioso in un volume dal titolo Un aiuto di fronte filosofia e religione del 2025. Di Simona Langella, Ricordo il saggio sulla filosofia e l'antropocene, nel volume da lei curato con Marco Damonte e Alba Massaro, Antropocene è bene comune tra nuove tecnologie, nuove epistemologie e nuovi virus del 2022. e ricordo, oltre a questo suo importante interesse a carattere interdisciplinare, il suo interesse per Jean Hersh, che abbiamo già citato, cui ha dedicato tra l'altro Verità e democrazia nel pensiero di Jean Hersh, nel volume Verità e democrazia tra degenerazione e rigenerazione nel 2020, Diritti umani e responsabilità in Jan Ersch, uno studio del 2017, in un volume a cura di Letterio Mauro dedicato a coesione sociale e diritti umani, riflessione sulla società contemporanea. Questi sono i nostri relatori che ora animeranno la tavola rotonda. che propongo di organizzare in questo modo. Dopo i primi due interventi di Antonio Allegra e di Marco Damonte possiamo fare delle domande, potete intervenire. Poi daremo la parola a Roberto Celada Ballanti e a Simona Langella e infine il tempo che avremo lo dedichiamo di nuovo a vostri interventi, riflessioni, idee, domande, dubbi. tutto quello che serve a fare filosofia. Prego professore. [00:14:51] Speaker C: Grazie alla professoressa Centi, grazie a Simona Langella. Devo dire che uno dei vantaggi di intervenire per primo, ci sono vantaggi e svantaggi ovviamente, è anche di poter ringraziare Simona Langella, l'Associazione Filosofica Ligure, in maniera diciamo che non è troppo ripetitiva perché mi immagino che seguiranno molti di questi ringraziamenti. Lo faccio in maniera convinta intanto perché sono contento di essere a Genova ovviamente, sono contento di parlare in questa magnifica sala, sono contento anche rispetto al tema del nostro incontro che secondo me contiene già nel suo titolo diversi spunti significativi interessanti intanto perché l'incontro in generale ha come titolo ma insegna diciamo di due parole chiave e non mi sembrano cose scontate, nel senso che parlare di opportunità, mettersi in gioco rispetto a questi temi da parte della filosofia, in maniera critica, in maniera avvertita, in maniera consapevole, ma non meramente attenta al rischio e al pericolo che incombe. Siamo tutti un po', non solo i filosofi, non solo i giovani, un po' incerti rispetto a questo futuro incombente. questo futuro già presente per certi versi che accelera in maniera esponenziale. Alcune cose sono accadute da pochissimo tempo diciamo per esempio ma stanno già cambiando il nostro modo di studiare, il nostro modo di ormai anche i contributi scientifici, leggo statistiche proprio recentemente impressionanti sulla quantità di contributi scritti con man mano più perfezionati si scopriva fino a qualche tempo fa grazie al fatto che le citazioni, come sapete, tendono a essere inventate, anche bibliografia è da ricontrollare e riverificare, ma ormai se il prompt è scritto giusto va a cercare i contributi che esistono veramente. Voi capite che è una proliferazione di contenuti che è ingestibile dal punto di vista della nostra padronanza di conoscenza, di contenuti che possono essere tradotti in tutte le lingue, no? quindi in qualche modo non c'è più neanche l'ostacolo della lingua della lingua remota della lingua distante è un esempio ovviamente che mi limita ad accennare convinto che sia chiaro a tutti perché lo lo scelgo perché evidentemente è uno dei fattori che rende incerto il futuro rende incerto il futuro faccio partire il timer altrimenti poi non mi rendo conto e rende dico ancora questo su questo su questo spunto di partenza rende incerte le prospettive future specialmente per chi è più giovane rispetto a sbocchi lavorativi, rispetto a dinamiche di mercato del lavoro però la filosofia forse a causa di questo può rischiare no? Di avere un approccio esclusivamente spaventato, reattivo. Ecco mi sembrava molto interessante invece che nel titolo di questo nostro incontro di questa nostra occasione ci fosse anche la parola opportunità secondo spunto interessante del titolo la parola futuro no? La parola futuro come questo spazio appunto di incertezza noi abbiamo una fortissima focalizzazione sul presente abbiamo una fortissima attenzione ormai concentrata su quello che accade momento per momento cercare di pensare il futuro, cercare di orientarsi rispetto a questo futuro, non di prevederlo evidentemente, ma di mettere in campo strategie che consentano forse di gestirlo in maniera più adeguata, con consapevolezza perlomeno, mi sembra certamente un punto importante rispetto a cui la filosofia potrebbe fare qualcosa. per quanto riguarda il titolo del mio intervento e così vado spero in continuità con quello che ho appena accennato al tema del mio intervento c'è un altro fattore naturalmente il titolo l'ho scelto io quindi come dire cercavo già di costruirmi un campo di gioco che perpentesse di avanzare quello che sto per suggerirvi il titolo è con parole semi nuove come avrete notato come avrete notato e poi si parla per l'appunto di transumano e postumano, vengono menzionati transumano e postumano. Perché parole seminuove? Intanto parole, ancora una volta cerco di rattaccarmi a quello che è stato detto finora rapidamente questa mattina, le parole non sono innocue, non sono neutre evidentemente, le parole costruiscono un frame, costruiscono in qualche modo diciamo la cornice entro cui noi poi la dinamica nel nostro pensiero finisce per muoversi. Ho notato una cosa questa mattina che non accadeva fino a qualche tempo fa. Un po' tutti finora. Non ho come dire controllato nel senso come dire one to one tutto quello che è stato detto. Però mi sono accorto, ho percepito, ho notato che tutti o quasi hanno detto eh diciamo studentesse e studenti. È un frame nuovo che esiste da poco tempo, che si è affermato, che contribuisce in qualche modo a diventare la nuova normalità della maniera di relazionarsi con un pubblico. Le parole sono importanti. Allora, la parola in questione, umano, postumano, transumano, disegna spazi di futuro differenziati. Questo è il punto interessante che vorrei proporre specialmente agli studenti. non disegna un un binario obbligato evidentemente un percorso già delineato il futuro è il campo dell'incertezza questo che lo rende affascinante questa incertezza che qualche volta ci spaventa ma è anche lo spazio di possibilità della libertà umana della creatività umana vuole dire della sfida a cui rispondiamo in maniera creativa il futuro per definizione è il terreno del cigno nero ha detto qualcuno di ciò che accade e non avevamo previsto. Abbiamo previsto molte cose ma non il covid per esempio. Il covid è stato un acceleratore fenomenale di alcune delle dinamiche che stiamo raccontando. Ad esempio il fatto che siamo tutti abituati ormai a collegarci a distanza, no? Accelerazione pazzesca con il covid e non ci si rinuncia. Non si fanno passi indietro. Una volta che si prende uno switch in un modo o nell'altro uno scambio del binario della storia da una parte o dall'altra diciamo una sliding door dopo senza il covid forse non saremmo oggi così condizionati da o ci saremmo arrivati in gruppo o ci saremmo arrivati in un altro modo però appunto eh giardino di sentieri che si biforcano dicevo un autore ispanofono molto importante no? La storia, la vita sono un po' questa cosa. I sentieri riprendiamo un po' a seconda di dove inciampiamo nel corso del tempo. [00:22:05] Speaker D: Capite? [00:22:06] Speaker C: Quindi spazio di creatività, spazio di apertura al futuro, umano, postumano o qualcosa di altro ancora. Cosa vogliono dire queste parole? Che campi di possibilità disegnano, un po' questo il tema del mio intervento oggi, che alternative possiamo definire e perché sono necessarie alternative, perché oggi questo lessico, questo mood sul postumano e transumano è diventato ormai, non dico dominante, però ampiamente diffusa, ampiamente circolante indubbiamente no? Ecco non la prima evidentemente cosa che vi dico ma comunque un primo forse o quasi primo concetto che vorrei fissare ciò dipende a mio parere da una evidente crisi dell'umano ci sono punti di attacco variegati però diciamo così l'umanissimo non se la passa bene anche all'interno del campo disciplinare della storia della filosofia diciamo in generale per motivi variegati dicevo un attimo fa differenziati ci sono argomentazioni e sensibilità che tendono a offrire un congedo, a presentare un congedo, un tendenziale congedo dalla tradizione umanistica che viene percepita ad esempio come troppo legata alla tradizione occidentale viene percepita quindi come espressione sostanzialmente di un pensiero coloniale. La riproposizione universalistica del punto di vista umanistico sarebbe, secondo questa linea di argomentazione, una impropria estensione, estrapolazione di un percorso molto specifico all'interno di una cultura trattante, di conseguenza la protese universalistica è in realtà nasconde al suo interno le grandi ipotesi umanistiche sulla sulla formazione progressiva all'insegna di un percorso culturale canonico no? È un canone ben preciso quello dell'umanesimo europeo occidentale. Ecco tutto questo nei curricula nella dinamica concreta del pensiero da parte di molti viene un po' faticosamente perché è chiaro che qui c'è anche un'instruzione che dice quelle cose lì sono importanti, no? Cosa ne facciamo? Che succede rispetto alla nostra tradizione umanistica? Illuministica. [00:24:41] Speaker E: No? [00:24:42] Speaker C: Però alcuni spostano ormai una posizione che tendenzialmente dice bisogna allargare, bisogna essere attenti a non offrire questo punto di. [00:24:58] Speaker E: Ok. [00:24:59] Speaker C: Qualcun altro da un'altra da un'altra parte forse mi sono sentito improvvisamente tornato ai miei quindici anni evidentemente ho sentito un rimprovero della professoressa è sempre molto efficace non ti blocchi immediatamente almeno io mi bloccavo ancora mi è partito il frame appunto dei quindici anni allora sì sì sì esatto siamo tornati eh ma aveva dei vantaggi, tornare a quindici anni ha qualche vantaggio in realtà, lo sappiamo secondo elemento di crisi di in qualche modo di interlocuzione rispetto alla tradizione umanistica un carattere occidentale, un carattere europeo, un carattere settoriale specifico che potrebbe essere un carattere legato a una dinamica diciamo di di genere no? un altro punto evidentemente caldo all'interno della sensibilità contemporanea, per cui alternative di pensiero femminista radicale che dislocano in qualche modo il percorso dell'umanesimo, che è un canone indubbiamente molto maschile, tentativo un po' faticoso di recuperare una linea parallela di pensiero al femminile che dovrebbe integrare quantomeno quello che si fa nella storia della filosofia canonica, canonizzata. terza cosa più radicale di tutte in realtà c'è anche un'apertura e quindi una dislocazione di confine ancora più radicale rispetto a ciò che umano non è le sensibilità non solo un po' banalmente ma importantemente animalistiche persone sono solo gli esseri umani essere sensienti non è essere autocoscienti ma potrebbe essere comunque un criterio rilevante per quello che o addirittura sensibilità ecocentriche ecocentriche l'ambiente come tale no? Non la vita non la vita animale non la vita vegetale ma l'ecocentrismo di un autore come Arne Ness per esempio io insegno anche filosofia della sostenibilità ed è molto interessante per me, stimolante, riflettere su queste cose, su come in qualche modo mettere in maniera sinergica, fruttuosa, in maniera operativa, efficace, la diciamo la tradizione umanistica con tutte queste cose che tendenzialmente, voi avete capito bene sicuramente, mi sono limitato a schizzarle molto rapidamente, tendono oggi a mettere in discussione questa tradizione. E allora, se questo è lo status dell'uomo oggi, diciamo, poi possiamo anche discutere di questo, sarebbe interessante, perché tra l'altro, ancora apro una piccolissima parentesi, spero non inutile, per quanto riguarda la cultura italiana il problema è praticamente sensibile, perché la cultura italiana, la tradizione filosofica culturale italiana, ovviamente si è sempre concepita all'insegna dell'umanesimo, non solo per motivi diciamo volgarmente nazionalistici o di orgoglio nazionale per via di quel certo movimento filosofico, culturale qualche secolo fa, dall'Italia è illuminato il mondo. È un po' questo lo storytelling che potrebbe essere e che può essere ancora riproposto, ma oggi come si combina questo con tutte le cose che ho appena accennato? Se si combina no? Oppure se possiamo semplicemente giusto apporre questi due discorsi, questi due diciamo questi due frame in maniera per cui non si toccano mai. Secondo me un una qualche diciamo dimensione di eh contraddizione potrebbe emergere. E non è solo un fatto ripeto legato alla dimensione nazionale di questo paese ma proprio alla eh diciamo eh al fatto che l'umanismo appartiene in profondità alla nostra storia e appartiene in profondità alla storia dell'Occidente. Allora in tutto questo si apre lo spazio appunto della riflessione sul futuro dell'uomo. Siamo in un punto come dire di possibilità, di virtualità, di apertura al futuro all'insegna di una crescente incertezza. non solo per la tecnologia presente, ma perché la definizione dell'uomo che oggi non è più auto-evidente, non può più passare così in giudicato in maniera, non dico irriflessa, non è mai stata irriflessa, ma in maniera comunque ottimistica e fiduciosa, come è accaduto in passato. Quali sono queste ipotesi? Una ipotesi indubbiamente, cerco di essere più didattico adesso, puoi dire a scalico, ma cercando di far capire le implicazioni del discorso, è quella del transumano. Ora, la cosa interessante è che il transumano, il transumanesimo, diverso dal postumanesimo, viene spesso accusato da parte degli autori postumanisti, a cui mi dedicherò tra un attimo, come in qualche modo l'ennesima, ultima espressione delle istanze umanistiche. Accusato, guardate bene, perché il post umanissimo, insomma, avete capito, parlare di transumano, di post umano indica, segnala, è una spia, un indicatore efficacissimo di questa non siamo più contenti dell'umano così come l'abbiamo conosciuto. C'è qualcosa che non ci convince. I postumanisti dicono ai transumanisti, ora vi spiego di che si tratta, lo dico per gli studenti naturalmente che non sempre hanno approfondito il tema, dicono ai transumanisti siete ancora troppo umanisti perché l'ideale transumanista, lo dico in due parole, è quello di una riaffermazione potente, perfino estremistica, parossistica, da un certo punto di vista si può dire questo, della individualità. ve l'ha durata nel corso del tempo del soggetto del fatto che il soggetto può addirittura deve addirittura è quasi un obbligo morale per alcuni transumanisti venire potenziato no? Un ideale supero mistico, un ideale per certi versi espresso da un lo si può dire apertamente perché non è una indebita diciamo eh ipotesi la mia Elon Musk è nella sua riflessione, diciamo così, politica o metapolitica, gli ideali di apertura di uno spazio di possibilità dell'uomo fuori dalla terra, un potenziamento, un accrescimento, una durata della vita, una capacità cognitiva accresciuta grazie al fatto che abbiamo a disposizione questi slot di memorie esterni che ormai sono parte della nostra conoscenza, capite? è sufficiente un passo ancora, se il chip diventa interno, entra dentro il mio corpo, comincia a essere complicato distinguere tra essere umano e device e essere umano potenziato. Già viviamo quasi come se fosse parte del nostro corpo, parte della nostra conoscenza, capite cosa voglio dire? Cioè è una dinamica che è già partita, questo ci dicono i transumanisti, bisogna prenderle in mano in maniera contenta, in maniera consapevole. progettando una un potenziamento cognitivo, un potenziamento della memoria, un potenziamento io ricordo molte cose grazie a questo strumento evidentemente no? Nessuno di noi ricorda tutto della vita di di Canto evidentemente grazie a questo io posso ricordare sapere cose che non so memoria esterna, memoria interna? Analogia con il mondo dei computer no? è un cloud da cui io eh ricavo quello che mi serve volta a volta. Ok? E poi l'ipotesi di una immortalità. Attenti bene. Se avete letto qualche contributo diciamo di seconda pagina, di terza pagina, di quarta pagina, non di titolo principale di politica internazionale recentemente è un argomento Presidente della Russia, Presidente della Cina hanno parlato, c'è un labiale, hanno parlato esattamente di questo, di ipotesi di prolungamento della vita, tecnologia, tecnologia medica, estrapolazioni fantascientifiche se volete, ipotesi di longevità, ipotesi in prospettiva di immortalità, non importa non importa se si realizza oppure no, gli importa l'ideale, la prospettiva di umano che è messa in gioco. L'umano è quello che muore, no? L'umano è il mortale. L'unica differenza tra l'umano e il divino nel mondo greco è che quelli là non muoiono e noi altri sì. Immortali, no? Se l'umano non muore voi capite che parlare di transumano comincia a essere ragionevole. comincia a essere un diciamo un lessico appropriato, non un lessico appiccicato diciamo così. Problemi enormi su questo, problemi enormi perché come qualcuno ha osservato come qualcuno ha osservato cerco di aggiungere un pochino questo altrimenti ancora qualche minutino me lo prendo e qualcuno ha osservato ma sarò sarò rapido perché già sento lo sguardo della modellatrice come qualcuno ha osservato questo potrebbe significare vi dico solo qual è la più eclatante delle conseguenze sociopolitiche che sono state riscontrate in letteratura su queste ipotesi di transumanesimo come l'ho rapidamente descritto potrebbe significare mettiamo anche che succeda una longevità o addirittura in immortalità da una parte coloro che si possono permettere queste tecnologie ed è un tema che sotto traccia comincia già a essere percepibile secondo me vivere più a lungo naturalmente in condizioni fisiche migliori rispetto alla vecchiaia c'è un altro racconto di Borges dove gli immortali sono dei disgraziati che naturalmente avendo cinquecentomille anni hanno fatto quattrocentonovecento anni di vecchiaia? Questo non si augura a nessuno. Di vecchiaia man mano decrepita. Capite? Di vecchiaia man mano inarrestabile, terribile. Questo è un incubo, no? Non è un sogno, ma in questa ipotesi invece viene proposto qualcosa di ben diverso. E allora lì che che succede socialmente? Ci sono anche dei film delle serie di Netflix che trattano il tema, no? Per dire quanto sia nell'aura del nostro tempo tutto questo. Succede una contrapposizione forte, altro che classi sociali, no? Coloro che muoiono e coloro che non muoiono all'interno della razza umana? Forse due razze veramente a questo punto. Se qualcuno muore e io non muoio c'è una differenza. come dire se non è una differenza proprio di razze una differenza che si è prodotta a partire dall'intervento bioingegneristico degli esseri umani di noi altri esseri umani si è creata una divaricazione su un elemento cruciale della nostra esperienza vale a dire la morte la durata della vita in prospettiva di immortalità il conflitto sarebbe radicale non potrebbe che non essere radicale come vi dicevo tutto questo può venire criticato ampiamente ed è stato criticato eh da molti anche da sottoscritto per esempio in quel libro il libro menzionato del diciassette proprio sul sulle visioni del transumano ma è stato criticato anche dai postumanisti e qui siamo all'altra un'opzione buona e un'opzione cattiva. Secondo me non funzionano così le cose. Capire quali sono i campi diciamo le poste in gioco, capite? I campi di forza che si contendono il futuro degli esseri umani in un certo senso. L'opzione postumanista è l'opzione invece che tende a mettere in relazione orizzontale gli esseri umani con il resto della vita. con il resto di ciò che esiste in qualche modo. Le tematiche animalistiche a cui ho fatto riferimento qualche minuto fa hanno molto a che fare con questo. La filosofia di Gilles Deleuze è un riferimento cruciale, lo spinosismo contemporaneo, la presenza di spinosa all'interno di queste riflessioni è dominante ed è assolutamente la chiave di volta teoretica per comprendere di che si tratta. L'affermazione di una Zoe di una vita non determinata preindividuale preumana in qualche modo non umanistica qui siamo davvero da un'altra parte evidentemente no? Voi sapete che in greco abbiamo due parole per più di più di due in realtà ma ci sono due che in particolare che mi Zoè e Bios. Il Bios è la vita individuale di Antonio come diverso da Marco. Abbiamo due dati di nascito differenti purtroppo. Abbiamo due percorsi di vita che non si sovrappongono. Chiunque di noi, ciascuno di noi ha una biografia. Differente, anche i gemelli hanno biografie differenti eh? Evidentemente. Però la Zoè è quell'altra cosa perché è anche vero che sia io che Marco siamo vivi. io e il mio cane siamo vivi allo stesso modo diciamo abbiamo storie di vita processi metabolici differenti ma abbiamo entrambi due il metabolismo no? Il percorso nel corso del tempo ecco la Zoe è esattamente questo è l'affermazione di questo principio rispetto a cui le individualità emergono in maniera del tutto temporanea da questo punto di vista capite il rifiuto della tradizione umanistica qui sì è davvero ancora più netto più forte rispetto a quello del transumanesimo perché effettivamente si può pensare che il transumanesimo abbia ancora qualcosa con diciamo di condivisibile con l'umanesimo nel senso che vi ho accennato prima e invece il postumanesimo indubbiamente tende a allontanarsi radicalmente da quel tipo di sottolineatura forte della rilevanza del soggetto, della persona o dell'individuo. Non mi interessa adesso optare tra queste tre diverse tradizioni lessicali e filosofiche, diciamo. Avete capito senz'altro che diventa rilevante invece questa consapevolezza una relazionalità che ci determina e in qualche modo rappresenta la il riferimento ontologico e metafisico a cui guardare per ridefinire appunto l'essere umano il post humanesimo per l'appunto. Concludo dicendo in qualche modo che ripeto non si tratta di determinare in maniera semplice una sorta di così valutazione, ecco eh privilegi uno o d'altro di questi di queste istanze, no? Di queste parole e quindi di questi frame che vengono in qualche modo portati dalle parole. Mi interessava però proporli, ragionarci insieme e proporvi questa chiave di lettura definire appunto in qualche modo i nomi che raccontano non tanto il nostro presente ma il nostro futuro all'insieme dell'incertezza. Esistono delle opportunità non non ho detto nulla su questo anche se avevo detto che volevo anche sottolineare le opportunità ma in ogni caso come capite tutto questo ci racconta un eh paesaggio contemporaneo che ecco eh sia molto incerto ma anche molto stimolante. Vi ringrazio per l'attenzione. [00:42:08] Speaker A: Grazie. [00:42:17] Speaker C: E. [00:42:32] Speaker E: Eccomi grazie di eh avermi dato eh la parola e eh in qualche modo di aver eh collegato e il mio intervento in successione rispetto poi a quello del eh professore Allegra con il quale vorrei evidenziare subito come dire un elemento di continuità e un elemento di eh L'elemento di continuità è dato dall'aspetto tematico. Riducendo estremamente all'osso quello che abbiamo appena ascoltato, diciamo che buona parte di quello che il professor Allegra ci ha detto era un tentativo di rispondere a chi è o chi sarà l'essere umano attualmente, nel prossimo e in un futuro molto più remoto. io riprenderei diciamo così un interrogativo analogo cercando di eh intercettare la domanda su eh come dobbiamo o possiamo chiamare eh l'epoca nella quale ci troviamo forse già forse già da parecchio e nella quale ci ritroveremo in un prossimo e immediato futuro. Quindi questo come dire è l'elemento direi della continuità. L'elemento della discontinuità direi che è quello diciamo così più stilistico. Il professor Allegra ha fatto una lezione e io vorrei più che altro impegnarmi a eh rendere ragione di un filone di ricerca che negli ultimi anni ha caratterizzato e ha portato come dire ha visto un certo investimento di tempo da parte degli storici della filosofia di eh di Genova. Eh sono stati ricordati alcuni titoli già dalla eh dalla nostra moderatrice. che ha ricordato anche un elemento un altro elemento molto importante sul quale vorrei insistere rivolgendomi in particolare come dire agli studenti e agli studenti anche delle superiori che ci stanno seguendo online perché ora quei quadratini colorati come dire possono dire eh anche poco ma come dire eh eh molti in realtà hanno dietro delle classi di liceo, quindi il pubblico è più vasto da quello che traspare semplicemente dai tondini che li vedete. eh e come dire eh vorrei invitarli a a eh riflettere sull'importanza di quei tre termini che caratterizzano questa tavola rotonda, il nominare, il periodizzare e il canonizzare. È già stato detto molto bene dalla eh dalla professoressa Centi L'importanza, come dire, non è semplicemente per gli storici di professione che, come dire, lavorano con questi termini, ma l'importanza è data anche da una rilevanza esistenziale. Saper in qualche modo chiamare il periodo, gli anni, il tempo eh cairologico oltre a quello meramente cronologico nel quale eh viviamo eh ci permette in qualche modo di eh prendere posizione la professoressa Centi diceva ecco soltanto periodizzando e nominandolo oggi non ci limitiamo a viverlo io direi addirittura non ci limitiamo a volte a subirlo ma possiamo crearlo. È utilizzato il verbo creare non per il futuro, se ho prestato abbastanza attenzione, ma addirittura per il presente. Quindi questo è estremamente importante, non è semplicemente un qualche cosa che fanno dei professionisti, ma è darsi, diciamo così, un ruolo, un significato e un senso all'interno della storia. eh possiamo prendere come dire alcuni esempi rischiando un po' la banalizzazione ma quando si parla di età classica di medioevo di rinascimento di illuminismo di modernità non abbiamo soltanto delle etichette di cui come dire dovremmo fare uso come utili servitrici e non come cattive padrone come qualche d'uno aveva detto non servono soltanto come dire per consultare l'indice di un manuale ma sono servite per le persone che se lo sono attribuite o in altri casi per le persone che si sono visti come dire appioppare questa etichetta magari loro malgrado ma ecco questi nomi hanno come dire definito una postura di queste eh di queste generazioni. Quindi anche noi è opportuno che ci interroghiamo facendoci proprio questa stessa domanda. Come possiamo o come dobbiamo definire la nostra epoca? Un'epoca, come dire, che ha delle caratteristiche non così evidenti, tanto che autori diversi hanno tentato di definirla in maniera diversa. proprio per quella differenza stilistica io mi limito a citare alcuni termini che evocano sostanzialmente testi di libri, non citerò gli autori perché i colleghi li conoscono e i giovani spero che siano incuriositi e si vadano a cercare un po' del materiale. Non mi impegno in chi ha parlato di una fine della storia perché la storia, come dire, è continuata, è continua, c'è chi ha parlato e sono filosofi con una sensibilità anche sociologica o sociologi con una sensibilità filosofica di un'epoca e di una società liquida piuttosto che di un'epoca caratterizzata dall'intranquillità piuttosto che dell'infosfera, sottolineando l'aspetto più legato alle tecnologie informatiche. se, come dire, entriamo un pochino più nel merito del linguaggio specialistico, il nostro tempo viene caratterizzato ed è stato caratterizzato in dialettica con il moderno. Anche qua, come dire, tanti autori hanno premesso alla parola al termine moderno una eh preposizione particolare quindi vivremo nel post moderno nel trans moderno nell'iper moderno o nell'ultramoderno o in una modernità tardiva qualche d'uno ha anche affermato queste terminologie ci dicono che innanzitutto eh facciamo fatica a rispondere alla domanda su dove nel senso di quando viviamo perché lo dobbiamo fare in stretto rapporto dialettico con l'epoca precedente e in secondo che questo rapporto come dire non è così chiaro eh tutte queste proposizioni stanno ad indicare che per alcuni autori noi viviamo in un momento dove c'è troppo della modernità, per alcuni invece ci sarebbe troppo poco del progetto della modernità o per qualche durandolo questo progetto sarebbe in qualche modo stato tradito. quest'anno tra come dire le varie celebrazioni si celebra anche l'anniversario della pubblicazione della Dialettica dell'Illuminismo. Quello che io vi ho detto con il termine modernità lo si potrebbe anche declinare come dire con il termine illuminismo sulla base di questo testo. Vorrei ora citarvi due autori il primo in maniera un pochino più estesa mi perdoneranno se in sala ci sono degli studenti del mio corso di correnti del pensiero contemporaneo perché è quella che utilizzo nelle prime lezioni ed è tratta da un testo di Romano Guardini pubblicato nell'84 ma risalente più o meno a delle lezioni di una ventina di anni prima si intitola proprio la fine dell'epoca moderna dove questo autore non è l'unico e forse non è neanche il primo ma in maniera come dire secondo me molto precisa ha la consapevolezza di dover tratteggiare dice lui la fisionomia di un'epoca che diviene completamente visibile solo quando scompare mi si offriva, dice, la prospettiva di tracciare il mio schizzo senza cadere nell'ammirazione e neppure nell'avversione di fronte al mio oggetto. Tale è l'immagine del mondo nei tempi moderni. Abbiamo la possibilità di vederla in modo più esatto, prendendo coscienza dei suoi limiti, proprio perché i tempi moderni volgono alla fine. Noi stiamo nel mezzo di questo processo e l'essere contemporanei di qualcosa che diviene non solo ne rende fluida l'immagine, ma esige da colui che la studia una presa di posizione. Non si può riconoscere ciò che sta divenendo se non o accettandolo o rifiutandolo. La conoscenza pertanto di ciò che sta avvenendo è insieme, e qui la dimensione esistenziale di questo nominare la nostra epoca è insieme una decisione sul proprio essere e sul proprio agire. Dopo qualche anno Lyotard nel 1979 scriverà la condizione postmoderna che ricordo perché tra le tesi principali di questo testo c'è proprio quella secondo cui l'epoca successiva a quella moderna è caratterizzata dal venir meno delle grandi narrazioni. Teniamo in saccoccia questa tesi che poi ritornerà. Nel tentativo di nominare il presente, ecco che nel 2000, dopo in realtà come dire diverse fasi emerge un termine, il termine antropocene emerge in una situazione abbastanza chiara ma dai contorni anche un po' leggendari. Siamo in un convegno di geologia e Kruzen, un premio Nobel per la chimica, propone appunto di definire la nostra epoca come una nuova epoca geologica chiamata proprio con il termine Antropocene. eh nell'enciclopedia Treccani quindi nella traduzione italiana arriva dopo una ventina d'anni ed è definita in questo modo. L'antropocena è l'epoca geologica attuale in cui l'ambiente terrestre nell'insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche viene fortemente condizionato su scala sia locale sia globale dagli effetti dell'azione umana. con particolare riferimento all'aumento delle concentrazioni di anidride carbonica e di metano nell'atomosfera. La conclusione di questa citazione vi dice che nasce in un ambito prettamente scientifico, ma quello che è interessante è che questa nuova epoca è definita esattamente dall'azione umana sull'ambiente. grazie a una intuizione della professoressa Langella del eh duemila diciannove hm per cui aveva dedicato un seminario eh sul bene comune proprio al tema dell'antropocene eh avevamo tentato di ripercorrere sia l'origine di questo termine ma sia anche la sua bene comune, in un'accezione se volete prevalentemente descrittiva, per cui l'antropocene ha determinate caratteristiche e queste caratteristiche come possono essere declinate per una comprensione del bene comune? In una presentazione di questo testo abbiamo poi giocato, uso il termine giocato perché c'è anche una dimensione ludica della filosofia che, come dire, vorrei evocare semplicemente in questa circostanza, abbiamo giocato sulla congiunzione è e che è diventata una copula. Quindi l'antropocene è il bene comune. Era un tentativo di affrontare uno dei dilemmi che emerge, cioè se i problemi legati alla nostra epoca per cui l'azione umana come dire sarebbe peggiorativa nei confronti dell'ambiente tanto forse da implicare l'estinzione della razza umana se non di tutti i viventi sul pianeta Terra e beh allora come dire sarebbe bene che l'uomo non ci fosse, che l'essere umano non ci fosse, non agisse più. In realtà come dire questo può essere di grande consolazione cioè se la colpa delle crisi e dell'umanità, come dire, non è qualche cosa di inevitabile, vuol dire che se l'essere umano agisce in un determinato modo, beh, può invertire o rallentare, se non invertire la tendenza. Di fatto, il termine antropocene eh ha avuto un uso hm come dire eh molto duttile o resiliente in tante discipline hm per cui si è imposto anche in ambito eh umanistico benché la sua nascita fosse come abbiamo visto in ambito scientifico e si sono anche eh moltiplicati eh i nomi Mi limito a farvi un breve elenco. Ciascuno di questi ha articoli, libri dedicati o addirittura dei convegni negli ultimi cinque o sei anni. C'è l'aspetto del capilatocene eh lo ricordo per primo perché sarà uno dei temi che torneranno nella terza tavola rotonda di questa giornata eh il plastico cene, il chat lo cene, plantaziono cene, vasto cene che dovremmo tradurre qui a Genova con rumento cene ma eccoci intendiamo augurio cene, nova cene, pirocene, misantropocene, eremocene, urbanocene. Ciascuno di questi termini dà una possibile declinazione del termine padre, diciamo così, antropocene, sottolineando a volte una causa, a volte una conseguenza, a volte una concomitanza. Anche in in questo caso il ploriferare forse eccessivo di terminologia segnala oltre che a una difficoltà anche la complessità che caratterizza l'intera diciamo così vicenda. una vicenda che pare concludersi con una data molto precisa, cioè il 20 marzo del 2024, quando in circostanze anche qua di per sé particolarmente note, ma come dire poi andando un po' a grattare con qualche carattere vagamente leggendario anche in questo caso, l'Unione Geologica Internazionale decide che no, l'antropocene non può definire un'epoca geologica. Ma, come dire, l'uso è così oramai importante e rilevante che in questa dichiarazione questa dichiarazione conclude dicendo nonostante il suo ripudio come unità formale dalla scala temporale e geologica l'antropocene potrà comunque continuare ad essere utilizzato non solo da scienziati della terra e dell'ambiente ma anche da sociologi politici ed economisti quanto dal pubblico in generale rimarrà un descrittore inestimabile dell'impatto umano sul sistema Terra e come dire anche la filosofia come già nel passato si occupa come dire di questi orfanelli che sono le parole a volte formulate da altre discipline alle quali poi altre discipline come dire rinunciano ma delle quali come dire è opportuno farsi carica e eh il ruolo che questo termine può avere è proprio quello di affrontare alcune eh dicotomie in particolare riguardanti proprio eh la come dire natura dell'essere umano o per dire con la Anna Arendt la condizione dell'essere umano eh quelle almeno ricordate, attraverso quella di natura e cultura, attraverso quella di limite e di potenzialità, attraverso quella di desiderio e di bisogno e attraverso quella del poter fare e fattualmente agire soltanto perché si ha quella capacità. A questo punto possiamo fare un ulteriore passaggio eh che mi è dato dal combinato disposto del dell'hm del numero monografico di studium che la professoressa Centi ha ha ricordato e che è appena uscito lo trovate in open access così come dire potete andare a vedere come dire più nel dettaglio quello che sto cercando di sintetizzarvi è dall'uscita dell'ultimo testo eh in italiano che si occupa di questo tema e che si intitola Narrare l'antropocene l'ambiente tra letteratura politica e diritto eh in cui emerge fin dal titolo eh la questione della narrazione a cui Lyotard ci aveva chiesto di prendere completamente congedo. invece necessario avere una nuova narrazione anche per la nostra epoca e qui permettetemi un altro gioco con le parole forse potremmo anche rinunciare a concepire l'antropocene per definire un'epoca trovando delle condizioni necessarie e sufficienti su cui i pensatori si sono già arrovellati ma decidere di come dire proporlo e di ragionarci intorno considerandolo appunto non il nome di un'epoca ma una nuova epica cioè una nuova narrazione in cui come dire ci sono aspetti come quello di una nuova paideia, di una nuova pedagogia, qualcuno l'ha chiamata la pedagogia di un'amicizia, c'è una dimensione di responsabilità ma molto più dilatata rispetto alla responsabilità individuale della quale comunemente si parla, una responsabilità nei confronti del futuro, delle generazioni future in particolare, è una responsabilità che deve farsi carico in qualche modo di tutti i viventi e del pianeta Terra in quanto tale, forse anche di altre dimensioni spaziali, se vogliamo andare in quella dimensione transcientifica con la quale è concluso l'intervento precedente. e di una responsabilità come dire dilatata ovunque. Non basta diminuire e migliorare il clima o diminuire l'inquinamento in una parte del mondo utilizzando tecnologie che devastano un'altra parte del mondo. Ok? Quindi bisogna avere una visione molto più eh olistica e un'ulteriore dimensione che dovrebbe avere questa nuova epica è quella della eh della speranza e della progettualità. eh sulla progettualità chi ha scritto narrare l'antropocene tra gli autori di narrare l'antropocene ci sono molti giuristi perché alcune delle istanze per rispondere e per farsi carico dell'antropocene sono state inserite in diverse costituzioni. Sarebbe interessante anche vedere quando e quali però è un dato interessante ma in qualche modo narrativo, una capacità di progettare un futuro politico. Un'altra parte di questi autori, invece, intendono la narrazione proprio dal punto di vista letterario. Qui io ho qualche riserva in più, perché è una narrazione, viene chiamata climate fiction e così via, ma che soprattutto dovrebbe e che si fa carico, come dire, di distopie o di utopie legate alla paura. Ora questo legame di una nuova epica legata alla paura secondo me comporta molti rischi. Io preferirei, e molti autori vanno in questa direzione, una epica che si basi invece in qualche modo sulla speranza, perché a volte la paura non porta a migliorare le azioni ma a diminuire. In definitiva, l'antropocene non è solo una parola, ma una realtà con cui dobbiamo confrontarci. Il riconoscimento di questa nuova epoca geologica è fondamentale per comprendere la portata delle trasformazioni in atto e per adottare soluzioni efficaci per affrontare il futuro. La sfida è aperta. e la consapevolezza, dice Padoa Schioppa, che le azioni umane possano determinare il destino del pianeta deve guidare le scelte di oggi e di domani. Grazie per l'attenzione. [01:06:49] Speaker A: Se ci sono delle domande abbiamo un po' di tempo. Professor Ghisu, poi le raccogliamo magari subito? oppure diamo intanto la parola al professor Ghiso e poi se nel frattempo... [01:07:11] Speaker F: Allora io avrei qualche domanda, due, tre diciamo così, sia rispetto all'intervento di Antonio Allegra sia anche quello di Marco. Allora la prima è questa, io ricordo qua la definizione che dava Antonio Gramsci della filosofia della Prassi, quindi del materialismo storico, fondamentalmente quando parlava di storicismo assoluto e umanismo assoluto in un certo senso. In questa definizione si comprende che in fondo nelle società umane niente si sottrae alla storia, non c'è un'entità umana che si sottrae all'infinito storico, alle trasformazioni, ai conflitti. e così via. Quindi non si può parlare di un'essenza umana, di un genere umano. I richiami naturalmente sono a Marx, in particolare alla stessa tese su Feuerbach di Marx, quando si riferisce l'individuo all'insieme dei rapporti sociali. Da questo punto di vista, se non c'è un umano in quanto tale, ma l'umano è appunto ciò che si dà nella storia, inevitabilmente a questo punto mi chiedo evidentemente In che senso si può parlare di posto umano, di transumano? Perché tutto ciò che accade nella storia, nel presente è comunque umano. Allora bisogna andare all'interno di ciò che accade nell'umano, nella società umana e capire quali sono i rapporti di forza, le tensioni che conducono in una direzione e non in un'altra. In questo caso forse bonirci anche dei strumenti in grado di capire la posta in gioco. Tu citavi giustamente il fatto che ci saranno forse due classi, come dire, degli immortali, tra virgolette, e dei mortali sono rapporti di classe che si conformano in base anche Marxianamente parlando di risolvere le forze produttive, voglio usare queste espressioni classiche in un certo qual modo. L'altra domanda è relativa al posto umano, tu ti riferivi a Deleuze, a Spinoza, io ricordo storicamente, non perché lo abbia vissuto ovviamente, La polemica che c'è stata negli anni Sessanta rispetto alla posizione di Althusser, alla critica di Althusser al cosiddetto umanismo teorico in un certo senso, quindi all'interno del marxismo poi c'è stata una grossa polemica che aveva addirittura coinvolto il partito comunista francese direttamente e cioè l'idea per cui in realtà dal punto di vista teorico rispetto a Gramsci, anche se il riferimento di Althusser non era certamente Gramsci, però a parte questo aspetto c'è il fatto che non si può parlare di un'entità umana originaria, ma l'umano è un effetto, il soggetto umano è un effetto per cui non c'è Il post-umanismo riguarda più che altro l'aspetto cognitivo, teorico, meno però invece i richiami necessari allo stesso. Althusser lo ricordava all'umanesimo, alla necessità di mettere in gioco l'uomo, di coinvolgerlo soggettivamente. Questo è un altro punto rispetto anche allo spinosismo, naturalmente della scuola althusseriana, perché fondamentalmente anche in Italia all'interno dell'althusserismo è nato questo interesse per Spinosa. Rispetto invece alla tematica dell'antropocene, tenendo conto di quanto detto precedentemente, cioè è corretto forse parlare di Antropocene, però non è anche, questa domanda è un po' provocatoria naturalmente, un tentativo di nascondere quello che accade, perché si può dire certamente l'uomo che sta distruggendo l'ambiente, però cosa c'è all'interno dell'uomo? Non è in realtà l'uomo, ma il modo in cui gli uomini, ovvero le società umane, si riproducono. Quindi individuare quei rapporti di produzione e di riproduzione che generano una situazione tale per cui l'ambiente è messo in pericolo. E' chiaro che l'uomo, non è sbagliato dire che l'uomo genera queste situazioni, però che cos'è l'uomo? E cioè il modo in cui si riproduce, il modo in cui produce, sono le società umane. Quindi l'individuale non ha responsabilità soggettiva, ma ha una responsabilità in rapporti sociali, in relazione in un certo senso, perché non è l'uomo che sta distruggendo l'ambiente in effetti, ma è, permettetemi di dirlo, il capitalismo, un determinato modo di produzione fondato sulla logica del profitto. Adesso non voglio apparire un marxista classico, diciamo così, però tutto sommato certe cose mantengono nella nostra realtà un valore di verità. Ecco, scusate che sono stato un po' troppo lungo forse, grazie. [01:11:06] Speaker A: Le domande? Oppure possiamo dare la parola ai nostri relatori che avranno molto da dire e poco tempo. [01:11:17] Speaker C: Sono tutte tre questioni davvero importanti. La prima mi offre il destro di estendere il mio discorso e di precisare un punto. non dimentico mai e vorrei che nessuno dimenticasse che tutte queste riflessioni sull'umano, sul postumano, sul transumano, su quello che sarà dell'uomo, sono riflessioni dell'uomo, dell'uomo. Indubbiamente questo è un po' come dire anche il punto cieco di queste pretese transumanistiche o postumanistiche, cioè sono ridefinizioni di quello che deve essere l'uomo. ipotesi su la direzione verso cui deve andare verso l'umano, l'umanità, il genere umano, eccetera. E non possiamo saltare al di là della nostra ombra. Anche le definizioni o le teorizzazioni, le ipotesi post-umanistiche più radicali, quelle che postulerebbero un decentramento totale dell'umano in direzione di questa di questa complanarità con tutto ciò che esiste sono condotte da un essere umano in carne ed ossa che dice che in realtà le cose stanno così e propone questa sua teorizzazione ad altri esseri umani e io non vedo come si possa uscire da questa condizione che secondo me è un po' il punto cieco di ogni teorizzazione naturalmente presuntamente post-umanistica essendo un punto cieco tende non essere così notato in maniera così significativa e netta ma è un po' la condizione di possibilità della nostra riflessione anche al di fuori delle dinamiche dell'uomo così come lo conosciamo. Ciò non toglie che entrambe le cose secondo me possono essere tenute insieme, ciò non toglie che le ipotesi in questione disegnano quantomeno un immaginario se non direttamente una realizzazione futura tangibile eh di qui a breve un immaginario di potenziale di varicazione di eh differenza specifica qua mi dispiace io rispondo con Aristotele diciamo no? A tua posizione no? Ci siamo capiti insomma una differenza specifica importante legata alla mortalità per l'appunto. Ecco io ho toccato molto rapidamente il tema della mortalità eh in qualche modo definitoria rispetto all'essere umano. Naturalmente non c'è soltanto la tendenza della cultura classica, della cultura greca, a riconoscersi in questa definizione, ma Heidegger nel XX secolo ovviamente. Tutto questo significa che una prospettiva di questo tipo quantomeno ci interroga su che cosa significa essere essere umani ancora sì perché siamo noi che costruiamo questo immaginario questa proposta teorica al tempo stesso però ci interroga su che tipo di prospettiva si apre no? E forse essere attenti a quello che potrebbe succedere può essere un esercizio anche politicamente estremamente utile questo mi sembra di toglierlo anche in quello che dicevi. Tra l'altro È un immaginario non così recente. In questi romanzi di inizio XX secolo, nella macchina del tempo di Wells. [01:15:19] Speaker D: Si. [01:15:19] Speaker C: Riconosce come dire la trasposizione della lotta di classe in creazioni di alla fine dei tempi, no? Un futuro estremamente lontano nella macchina del tempo quindi in contesto apparentemente lontano dal transumanesimo contemporaneo o dalle modalità tecnologiche che sono diventate per noi il pane quotidiano si riconosceva comunque questa divaricazione di forme di vita che sfocia alla fine in razze umane differenti. È un contesto storico, culturale, letterario, filosofico molto differente. Però mi interessa cogliere un po' questo tipo di continuità tra tematica politica e tematica potenzialmente, lo so che parlare di razza fa brutto, Ma attenti, io sto dicendo che in realtà qui si tratta di produrre razze, no? E questa è la cosa più inquietante del discorso che stiamo cercando di condurre, in un certo senso. La questione di Althusser, sì, è molto bello ricordare questi classici, un po' dimenticati forse, un po' messi tra parentesi. È una vecchia discussione questa. Nella cultura francese degli anni Sessanta, da un lato l'Althusserismo, dall'altro il Resistenzialismo, no? siamo ancora un po' da quelle parti, in un lessico aggiornato, modalità modificate. E' un po' il tema su cui si interrompeva la mia relazione, la mia piccola comunicazione. Il posto umanissimo come problema, a mio parere, ha esattamente questo. un'idea di mettere da parte ma al di là delle intenzioni qualche volta esplicite proprio per sua struttura, per sua conformazione per suo assetto la rilevanza della individualità nel percorso specifico che ciascuno di noi attraversa. Perché non c'è niente da fare. Io sono io. Io attraverso una storia. Una storia che è diversa da quella degli altri. Una in termini di riconduzione alla specie umana. C'è la specie, c'è l'individuo. C'è la specie, c'è l'individuo. C'è la biografia. Si dà biografia solo per gli esseri umani, in realtà, no? La biografia è solo di esseri umani. Posso raccontare la vita di un animale. Ci sono esempi letterari bellissimi, per esempio un racconto di Thomas Mann, ma un cane, però in realtà c'è una dimensione umana, che è propriamente biografica, che racconta una traiettoria personale. Allora, in qualche modo la vecchia polemica degli anni Sessanta, ricordo un po', tra strutturalismo diciamo ed esistenzialismo a grandi linee, ricordo un po' questo. Per quanto riguarda l'antropocene è molto interessante, ma la domanda era per lui, quindi prego. Tanto lui ha... [01:18:23] Speaker E: Sì, grazie per la sollecitazione che mi permette di sottolineare proprio, come dire, il primo di quegli altri neologismi che ha affiancato Antropocene, che è proprio capitalocene, cioè come dire, ciò che noi attribuiamo all'essere umano è in realtà attribuibile, direi, anche, forse non solo, ma anche a un determinato modo di una parte del pianeta di, come dire, organizzare le proprie economie. La cerco di dire con il termine più neutrale possibile, ok? eh e in questa stessa direzione proprio in questa direzione andava al tentativo di riflettere sull'antropocene in chiave di bene comune ok? Che è una dimensione come dire eminentemente collettiva. Dopodiché in nome di quella complessità a cui ho fatto riferimento entrambi le dimensioni vanno tenute presente. La responsabilità personale esiste ma non deve essere sovraccaricata altrimenti i medici dovranno diagnosticare sempre più casi di quelli che a livello clinico vengono chiamati casi di ecoansia eh perché qui c'è evidentemente un sovraccarico sulla responsabilità personale eh d'altra parte non ci può neppure essere una completa delega ai eh ai sistemi che ai sistemi ci sono perché ciascun nei ruoli che gli è proprio all'interno della società, in qualche modo li fa funzionare. Quello che fanno gli attivisti, ci sono degli studi su come è cambiato l'attivismo proprio alla luce dell'antropocene, fanno oggettivamente un po' di difficoltà a bilanciare queste due tipologie di responsabilità, una come dire più individuale e l'altra collettiva ma come dire spese volentieri spersonalizzante che sembra come dire quasi un dato oggettivo ma come dire è un dato storico in realtà e come tale bisognerebbe in qualche modo manipolare per questo dal piano descrittivo bisogna passare anche al piano normativo. Mi fermerei, grazie. [01:20:44] Speaker A: Bene, grazie mille. Allora possiamo passare alla seconda parte della nostra tavola rotonda dando la parola al professor Celada Ballasi. [01:21:00] Speaker D: Ecco grazie intanto ringrazio gli amici Simona, Marco per questo invito ringrazio l'Associazione Filosofica Ligure è una bellissima occasione di niente prolungare e stendere il lavoro didattico che facciamo con gli studenti ne vedo tanti vedo anche tanti studenti nei miei corsi mi fa piacere e quindi e quindi è davvero una bella occasione di dialogo di confronto eccetera Allora io per nominare il presente ho scelto un tema classico, forse uno dei temi più classici possibili, quello della teodicea. credo che non sia fuori luogo anche se appunto rispetto ai colleghi che hanno parlato prima mi sembra un po' un po' dislocato, desituato ma forse come dire è un buon modo per nominare il presente quello di riproporre temi di grande classicità perché i classici sono questo e le grandi questioni classiche sono sempre future sono in qualche modo in sé inesauribili. Del resto appunto ho cercato di rendere onore al titolo del nostro convegno, della nostra conversazione, la filosofia di fronte all'opportunità del futuro proprio con quel con quello strano sintagma che ho messo all'inizio del titolo, cioè erranti radici. È un ossimono, è un sintagma palesemente ossimorico perché le radici non dovrebbero essere erranti, Eppure queste sono le idee, mi pare che questo esprima bene ciò che sono le idee nella storia, che non sono mai le idee cose, oggetti, non stanno ferme là dove nascono, ma mentre sono radici perché dicono le questioni ultime, le cose ultime dell'esistere, come questo grande tema che ha a che fare con la questione del male e la questione della pensabilità di Dio a partire dal male, a partire dal problema del male del mondo. grandi temi come questi, mentre dicevo sono radici e come dire non stanno ferme, migrano le idee nella storia, fanno esodo continuamente, si trasformano, producono effetti nel corso della storia secondo una legge, questo dico spesso a lezione, questo mi pare un buon modo per leggere la storia della filosofia, secondo quella legge che è la legge della identitas in novitate si potrebbe dire o novitas in identitate. cioè c'è un c'è un medesimo che per dirla con Heidegger c'è un medesimo che non è mai lo stesso. C'è un c'è un c'è un un zelbe che non è mai che non è che non è mai un gleich che cammina sempre in avanti. Questo è il destino delle idee. Dico qualcosa appunto sul titolo come premessa in qualche modo, che da questo punto di vista le idee assecondano questo movimento demonico di inesausta ulteriorità che le segna e che quindi anche le decosalizza, le idee non sono cose, le sottraggono sottraendole in qualche modo alla clausura mortificante degli ismi, delle etichette che sono l'antipodo dell'autentica filosofia. e le destinano appunto al futuro e anche a quella grande legge della storia che vi collominava come eterogenesi dei fini. Per cui non sappiamo mai che cosa sarà delle nostre azioni, non sappiamo mai che fine faranno fino in fondo i nostri pensieri, non possiamo come dire sapere in anticipo. C'è sempre un'eterogenesi dei fini. Questa è la grande legge della storia. non possiamo mai padroneggiarne gli effetti ma questo è anche la possibilità di una costante eh infinita novità delle idee perché comunichiamo cose che non sappiamo dove vanno a depositarsi eh su quale libertà e su quale possibilità vanno a depositarsi i nostri discorsi eh quello ciò che comunichiamo questo è fonte di appunto costante di costante novità. Bene, da questo punto di vista anche la questione della teodicea appartiene a questa a questa classicità questa inesauribilità delle idee e questo lo dice già dentro nel tema potrò dire pochissime cose ma comunque proviamoci questo lo dice già una sorta di distanza o di divaricazione che c'è tra il nome teodicea che è recente lo sappiamo è un termine è un neologismo di conio laibniziano saggi di Teodicea 1710 di Leibniz che ho lungamente studiato in anni passati. Ma appunto come dire la parola è recente, il termine Leibniz d'altronde sappiamo bene quanto fosse un grande creatore di concetti, grande creatore di idee, c'è un bellissimo libro, uno dei più belli devo dire che ho letto che non è di un filologo o di uno specialista di Leibniz, che è il libro di Gilles Deleuze, Le Pli, La piega, Leibniz e il barocco, dove Deleuze sottolinea proprio questo aspetto di, come dire, di fronte al caos incipiente, di fronte al nichilismo incipiente che già l'uomo del 600 avverte potentemente, è come se ci fosse uno sforzo infinito da parte di Leibniz di creare costantemente concetti, principi che in qualche modo tengano insieme questo universo che è sempre più pericolante, sempre più prossimo al crollo, questo si avverte pesantemente. Ricordo anche il grande criterio che Deleuze, da grande ermeneuta qual è, il Deleuze migliore secondo me è quello che legge i classici, che legge Spinoza, che legge Leibniz, che legge Kant, prima ancora del grande teoretico, quando diceva che questo punto di vista Leibniz può apparire un autore astratto soltanto per chi non è accolto il grido che sta dentro ai concetti. Dice c'è un grido là sotto, c'è un grido sotto il principio di ragione, il principio dell'identità degli indiscernibili, cioè tutta quella sequenza di concetti che con cui in qualche modo Lioni cerca di tenere insieme, appunto, questo universo pericolante, questo universo che viene disfacendo, che cammina verso il suo disfacimento. La parola, d'altronde, è significativa, no? Zeus dice che è il grande problema della giustizia di Dio, giustizia proprio nel senso paolino-luterano di giustificazione, di rechtfertigung, parola che appunto non a caso ha dentro di sé il termine recht, il termine diritto, perché la teodicea istituisce appunto un tribunale e trattiamo di teodicea filosofica che istituisce appunto un tribunale della ragione dove c'è un accusato, Dio, c'è un capo d'accusa, il male nel mondo, nella forma del male morale, del male fisico, del male ontologico, metafisico, e c'è appunto un difensore in qualche modo alla ragione e alla filosofia che è ritenuta evidentemente in grado da parte di chi istituisce questo tribunale di difendere Dio da tale accusa. Almeno questo era il punto di vista certamente di Leibniz. ma appunto non sarà questo il punto di vista di Kant invece che in quel saggio del 1791 sul fallimento di tutti i tentativi filosofici in teodicea appunto afferma invece il naufragio di ogni forma possibile di teodicea un naufragio non solo a posteriori perché cioè fino ad oggi non è stato possibile costruire una teodicea ma è un naufragio a priori in qualche modo, reso tale dal fatto che la ragione è strutturalmente costitutivamente impotente a sciogliere quei nodi, quel saggio del 91 1791 in qualche modo vedete il 700 da questo punto di vista è davvero il secolo per eccellenza preceduto peraltro dal 600 della Teodicea, secolo per eccellenza perché si apre con i saggi di Teodicea 1710 di Leibniz e si chiude con quel saggio cantiano che in qualche modo tira il punto di vista finale mostra il punto di vista finale cioè afferma il naufragio in qualche modo l'impossibilità di ogni teodicea speculativa attenzione teodicea filosofica perché Kant in realtà in quel saggio non rifiuta l'idea in sé di teodicea, semplicemente la trasfonde, la traduce, la trasla dal piano teoretico, quello dell'impossibilità, al piano pratico, al piano etico. E chi è il rappresentante della teodicea autentica dopo una lunga e anche complessa decostruzione che Cante fa in quel saggio, su cui qui non possiamo fermarci, di Teodicea, le ultime pagine fanno riferimento a chi? Chi è il rappresentante della Teodicea autentica, cioè di quella Teodicea definita dall'idea di sincerità? E' Giobbe. Giobbe che torna, la figura di Giobbe, il giusto che soffre per eccellenza, che. [01:30:45] Speaker E: Torna. [01:30:50] Speaker D: Nella riflessione del Settecento e in qualche modo questa figura, la figura di Job, torna pesantemente, potentemente, non tanto in Leibniz, qui non c'è molto dal punto di vista del libro di Job, ma certamente c'è tantissimo in Voltaire. La figura di Job è centralissima in tutti i romanzi di Voltaire, in tutti i cont di Voltaire. Queste figure che ricorrono da Zadig a Candide sono figurazioni di Job, sono figurazioni del giusto che soffre e che tornano costantemente. Candide è il giusto che soffre in qualche modo per eccellenza. E poi non possiamo dimenticarci del poema sul disastro di Lisbona, perché quel secolo, il secolo XVIII, il secolo delle Lumiere, il secolo dell'Aufklärung, è anche il secolo del disastro di Lisbona. Se in qualche modo all'inizio e alla fine sta il problema della teodicea, cioè il problema della giustizia di Dio, non tanto dell'esistenza di Dio. Qui c'è un brano, un testo molto bello di Hannah Arendt, di Vita Activa, dove dice il problema dell'uomo del 6 e del 700 non è l'esistenza di Dio, che in qualche modo sappiamo essere dimostrabile, ma è il problema della giustizia, classico in qualche modo, problema anche molto luterano, molto protestantico, della giustizia dei. Questo è il grande problema dell'uomo del 6 e del 700. appunto quando questo problema, dopo i fasti della teodicea leibniziana, che in qualche modo è una teodicea inattaccabile, anche Voltaire che si adopererà in tutti i modi possibili per devastare, per distruggere la teodicea leibniziana, è in qualche modo, come dire, non rende ragione fino in fondo al genio di Leibniz, non solo perché lo legge tutto sommato superficialmente Voltaire, ma anche perché la teodicea leibniziana è una teodicea costruita essenzialmente a priori, cioè costruita sull'argomento razionale a priori dell'esistenza di Dio, per cui è in qualche modo inattaccabile. La teodicea di Leibniz, la teodicea metafisica speculativa di Leibniz, è una macchina strategica in qualche modo inattaccabile, totalmente a priori, per cui non c'è prova di posteriori non c'è male possibile, non c'è sofferenza possibile, non c'è catastrofe possibile che possa in qualche modo scalfire la priorità dell'esistenza della bontà e dell'unipotenza di Dio. Per cui quando in qualche modo Voltaire, giocando totalmente sulla posteriorità della teodicea, cerca di scalfire gli argomenti leibniziani, appunto, e dicevo una lettura superficiale o in qualche modo problematica, ma Voltaire appunto, il genio di Voltaire sta proprio nel giocare sulla questione dell'eterogenesi dei fini, su quella cosa che dicevamo prima, cioè sulla impossibilità di conservare l'intenzione rispetto agli effetti e infatti tutti i suoi personaggi, quei personaggi giobbici che caratterizzano i suoi conte, quelli della stagione centrale, quelli che vanno dal 1747-48, Zadig fino a Candide, 1759. C'è questo gioco sull'eterogenesi dei fini, che finisce poi per scardinare la strategia centrale di ogni teodicea, quella secondo cui, certo che ci sono i mali, i mali particolari, però i mali particolari sono sempre riassorbiti nell'orizzonte di un bene generale. un bene più grande, di un bene generale. Questa in fondo è la strategia di fondo di ogni possibile teodicea, l'assorbimento dei mali particolari in un bene più grande. Ma appunto Voltaire dice ma cos'è questo bene più grande rispetto ai mali particolari? e appunto bisognerebbe leggere le voci del dizionario filosofico su questo eccetera, ma appunto quello che scardina alla fine questa strategia, questo meccanismo centrale, è proprio la questione della divaricazione tra virtù e felicità. Questo è il grande problema di Voltaire, rispetto a cui non verrà mai a capo. Tutto Voltaire, a me questo colpisce, ha sempre colpito molto di Voltaire, Qui sta secondo me anche il germe della sua religiosità, che va letta certamente all'interno di una grande polemica con le religioni storiche, ma c'è una religiosità profonda legata al problema dell'ossessione del male. Voltaire è ossessionato dal problema del male, da cima a fondo. Con questa crisi centrale, anche biografica, anche personale, che va dal 1947 al 1959, infatti non a caso inizia a scrivere i suoi cont. Da Zadighe punto fino a Candide passando per Memnone, Scarmentado eccetera in mezzo sta il poema sul disastro di Lisbona che è un documento straordinario di questa crisi settecentesca della teodicea perché nel poema che sembra come è stato notato una riformulazione del libro di Job, l'archetipo è certamente quello, c'è c'è una voce invocante ed è una voce, quella appunto di Voltaire stesso, che imprecando e invocando contro Dio in qualche modo decostruisce tutte le forme di giustificazione del male che l'Occidente si era dato, dal peccato originale fino ai più recenti tentativi appunto di Teodicea cioè di fronte alla radicalità, alla ontologicità, alla metafisicità del male non c'è nulla che tenga eh il male esiste dice Voltaire e nessuna giustificazione è possibile. Allora che cosa resta alla fine? Alla fine di questa decostruzione, di questa demolizione, di questo smantellamento eh? Qui bisognarebbe proprio evocare le parole ai Degheriani di destruzione o anche di abbau, di smantellamento. È un vero e proprio smantellamento di tutte le forme di giustificazione. Cosa resta alla fine di tutto questo in quel poema straordinario, anche se forse letterariamente non è eccelso? scritto da Volterra l'indomani del terremoto di Lisbona, cioè 1756. Cosa resta? Ecco resta l'uomo nudo, un uomo nudo di fronte a Dio che invoca o impreca Dio rispetto al male radicale, privo di qualunque forma di giustificazione, Giobbe, direi Giobbe allo stato puro. Ho scritto molti anni fa un saggio su questo intitolando proprio Giobbe nel secolo dei lumi. non è un caso appunto prima come dicevo che Giobbe torni appunto in Kant come espressione di quella di quella teodicea autentica. Questi sono gli sviluppi secenteschi e in qualche modo anche la crisi della teodicea in senso speculativo ma la teodicea non finisce con Kant, si prosegue proprio perché è è una questione perenne, è una questione di cui non possiamo fare a meno eh per cui appunto ci sono sviluppi novecenteschi appunto mh da Anzionas fino a a Paris o fino a Caracciolo eh che hanno meditato su queste grandi questioni mh questioni che sono antichissime ho ho messo ancora qualche minuto sì ho omesso di dire che questo c'è. [01:39:15] Speaker F: C'è. [01:39:15] Speaker D: Una... sì, appunto, che è perenne come le cose che cerchiamo di dire. No, ho indicato il punto di arrivo in qualche modo della teodicea, cioè la crisi settecentesca della teodicea che si consuma in qualche modo tra Leibniz, Voltaire e Kant. Posso dire soltanto una cosa, due cose sull'atto di origine, perché certamente la teodicea speculativa ha una genesi, ha un atto di origine, niente meno che in Platone. Se noi dovessimo cercare l'atto di origine della teodicea speculativa dovremmo rinvenirlo certamente nel secondo libro della Repubblica. in quel colloquio fra Socrate e Adimanto, siamo all'interno della Paideia dei Guerrieri, Socrate in quella circostanza si pone come fondatore della città, stanno discutendo della Paideia dei Guerrieri e Socrate dice ma noi non possiamo insegnare ai giovani come dire miti immorali, dobbiamo certamente in qualche modo selezionare i miti e come dire comunicare ai giovani, ai giovani guerrieri le nuove generazioni soltanto quei miti che in qualche modo denotano, cioè c'è all'interno di quel discorso una vera e propria critica del mito che era già stata iniziata in un dialogo fondamentale che io quest'anno tra l'altro ho fatto il corso, l'Eutifrone, che è come dire una critica e una decostruzione radicale della religione mitica in nome di una nuova religiosità, in qualche modo quella socrata, quella della coscienza, quella dell'anima, ma quel discorso iniziato nel neotifero si conclude proprio in quel luogo, 379 a seguenti, siamo verso la fine del secondo libro, quando Socrates appunto dice bene ma allora se dobbiamo selezionare i miti, operare una sorta di lavoro demitizzante, mi verrebbe da dire, con il grande teologo novecentesco Bultman, allora dobbiamo indicare alcuni caratteri fondamentali della teologia, typoi peri theologias, dice il testo greco, e qui compare, credo per la prima volta nella letteratura occidentale, il termine theologia, è una parola di conio filosofico, è una parola di conio platonico. Teologia indica quei tratti, quei canoni fondamentali ai quali si sarebbero dovuti attenere poeti eccetera eccetera nella, in qualche modo, definizione e formulazione di nuovi miti, di una nuova mitologia. Ma appunto quali sono questi Tipo-iperizzeologia. Sono due fondamentalmente. Il primo, che è veramente capitale ed è qui che secondo me è l'atto di nascita della teodicea filosofica. Vedete la teodicea? Il nome il verbum è tardo, cioè risale a Leibniz, ma la res, la cosa, la cosa stessa del pensiero è antica quanto la filosofia. Qual è il primo typos che Platone indica, che Socrate in quel discorso indica? che Dio è causa dei soli beni e non dei mali. Dio è causa dei soli beni, per cui se ci sono mali hanno un'altra origine, devono per forza necessariamente avere un'altra origine che non è quella divina perché Dio è bene, Dio è Agaton, tutta la Repubblica dice questo. Se Dio è bene è i mali non sono, o per dirla con la formula finale del del libro decimo della repubblica, Zeus anaitios, Dio è innocente. Ma questa non è forse la modalità con cui il problema della teodicea entra nella filosofia? Dire che Dio è causa dei soli beni e non dei mali. Allora è molto interessante, dico questo e chiudo, è molto interessante notare che il termine teologia, zeologia, appare in qualche modo in strettissima connessione nella letteratura filosofica occidentale con il problema della teodicea. Si potrebbe dire che teologia in senso filosofico, cioè un logos su Dio, una ricerca filosofica sul divino, è distinta e polemicamente anche distinta da quella mitica, perché siamo all'interno di un discorso di radicale critica al mito che completa quello iniziato da Leutifrone. Ci sono anche tra l'altro dei riferimenti nel testo palesi a Leutifrone, come se Platone volesse concludere qui in questo luogo quel discorso che in quel dialogo aveva lasciato in qualche modo in sospeso, perché l'autifrole è un dialogo in qualche modo che si chiude aporeticamente, con il sacerdote, indovino, autifrole, in fuga, messo in fuga, o che se la dà a gambe alla fine del dialogo, e appunto, e mi viene da dire, con lui in fuga sono tutti gli dèi dell'Olimpo, per cui A me pare che questa è l'immagine bellissima con cui si chiude quel dialogo socratico platonico. L'Olimpo è in qualche modo svuotato dalla decostruzione socratica. L'Olimpo resta ma vuoto in attesa di essere riempito da una nuova figura del divino. quella della propria della religione platonica, mi si passi l'espressione, cioè di il divino Tozeion come sommo bene, come Agaton. Questo è il completamento di quella, di ciò che nell'eutifero era rimasto allo stato aporetico, allo stato del non detto Perché quella parola, agaton, là non compare, compare invece in questo luogo, in questo luogo della Repubblica. E poi l'altro typos che è quello della immutabilità, cioè il divino non subisce metamorfosi, non subisce trasformazioni. non inganna. Qui sembra quasi una, come dire, un'anticipazione di quello che poi si troverà anche in Cartesio. Dio non è trompeur. Il divino, nel senso autentico, non può ingannare. Ma, appunto, è interessante osservare questa, in qualche modo, coincidenza tra inizio e origine, in qualche modo, della parola che appare lì, teologia. un lato e dall'altro la questione strettissimamente legata, interconnessa in qualche modo, alla questione della teodicea e questo mi pare... ecco, ho provato ad indicare in maniera molto confusa la genesi da conclusione. [01:46:22] Speaker A: Bene, allora possiamo passare alla nostra ultima protagonista, la professoressa Langella. [01:46:36] Speaker B: Dunque io sposterò un attimo il lago della bilancia su un contributo molto più eh centrato sulla figura di di Janer, come avete già visto dal dal titolo, in particolare su una un aspetto di di questa pensatrice eh non legato alla sua produzione e al suo lavoro all'UNESCO ma come diciamo sì, su un aspetto all'atere del suo lavoro. Ci tenevo anche in qualche modo a capire un po' di più la sua biografia in relazione a come ha svolto il suo lavoro di storica della filosofia, perché questa figura credo tuttavia nel panorama attuale della storiografia Non è ancora ben centrata. Anche gli ultimi testi che sono usciti sul pensiero delle filosofe del Novecento, Ecenerce è una grande dimenticata, questo forse anche per la sua stessa natura, nel senso che lei stessa si è sempre un po' defilata da questa etichetta di filosofo. Mi sembrava anche interessante, visto che la tavola aveva al centro il tema del nominare, canonizzare e periodizzare il presente, tornare su come lei ha lavorato su queste categorie. Spenderò per questo due parole su chi è Jeanne Hersch, perché la si conosce tuttavia Nasce a Ginevra, in Svizzera, da madre polacca e padre lituano. Lo studio del tedesco la porta nel 1932 ad Heidelberg, in Germania, dove ha occasione di seguire i corsi di Jaspers. L'anno seguente, nel 1933, si trasferisce a Friburgo per frequentare le lezioni di Heidegger. ma dovette orientare precipitosamente in Svizzera a causa delle sue origini semitiche. In tal caso, la sua condizione di figlia di genitori immigrati la tutelò dalle persecuzioni anti-ebraiche e dalla deportazione. Insegnerà, dopo una parentesi negli Stati Uniti, quando le leggi razziali le impedivano di insegnare nell'Europa nazifascista, all'Università di Ginevra, dal 1947 al 1977, storia della filosofia, per 30 anni, diventando la prima donna ordinaria dell'Ateneo svizzero. Dal 1966 al 68 assumerà la direzione della divisione di filosofia all'UNESCO, nella sua sede centrale a Parigi, dove nel 1970 sarà la rappresentante della Svizzera nel Consiglio esegutivo. I due anni all'UNESCO, dal 1966 al 68, diedero una svolta definitiva alla sua riflessione etico-politica, che trova appunto il suo centro in una ricerca sulla fondazione filosofica dei diritti umani. La raccolta di testi dalla curata nel 1968 su incarico della Conferenza Generale dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'anniversario dei vent'anni della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo, intitolata significativamente il diritto di essere un uomo, antologia mondiale della libertà, è stata, non a caso definita, un'opera monumentale dall'architettura polifonica in cui si intrecciano le voci di pensatori, poeti, scrittori di tutto il mondo. Essa contiene una selezione di brani provenienti da tradizioni e epoche diverse, che a motivo della loro differente origine, sia spaziale che temporale, mettono in luce l'universalità e al medesimo tempo la necessità, avvertita da ogni uomo, di essere riconosciuto come tale nella sua dignità, lasciando così intravedere la radice ultima dell'esigibilità dei diritti soggettivi in un'idea di libertà, intesa come esigenza, punto assoluta, che reclama da sempre un'incarnazione. Tale necessità rimanda al dinemma stesso della libertà umana, che per Hersch è sempre assoluta e sempre al medesimo tempo in situazione. Per lei, infatti, capacità di libertà e agire concreto si implicano reciprocamente. L'esercizio di una libertà responsabile non è dunque per la filosofa ginevrina una strazione morale, bensì un'urgenza avvertita nel cuore di ogni essere umano di realizzare se stesso, appunto, come uomo. Nella sua lunga carriera, Hersch scriverà saggi, articoli di occasione, ma anche opere di carattere chiaramente letterario, oltre a portare avanti un monumentale lavoro di traduzione al francese delle opere di colui che ella riconosceva come suo unico maestro, Karl Jaspers. Su questo, vorrei dire che in qualche modo Hersh è stata anche proprio messa in ombra per il ruolo che ha svolto di traduttrice dal punto di vista appunto di una sua rivalutazione filosofica. C'è un interessante articolo di Montale che ce la descrive, appunto un articolo del 49, durante una partecipazione a un incontro internazionale in cui Montale era stato presente. Dice così. Lo accompagna la sua interprete, non gli dà neanche un nome, che registra ogni sua parola, una donna piccola, bruna, scuretta di pelle, con i capelli accercinati attorno alla testa, che passa per essere la più fedele depositaria del suo pensiero. Quando però la hershe traduce il verbo del maestro, non dirò che le cose si intorbidino, ma certo si fanno chiare. questo piccolo passo di Montale ci dà un assaggio di quello che è il destino secondo me di questa figura. A parte la sua speculazione etico-politica che si cristallizzò nella sua riflessione sui diritti umani e che occuperà principalmente la seconda parte della sua vita a partire definitivamente dal suo incarico all'UNESCO, La prima parte del suo impegno filosofico avrà un taglio principalmente speculativo e si concretizzerà fra il 1936-1946 in due testi fondamentali della sua produzione. Il primo, L'illusione della filosofia del 1936, che uscì in tedesco vent'anni dopo con un'ampia introduzione di Jasper, e il secondo, pubblicato nell'immediato dopoguerra, intitolato L'essere e la forma. L'illusione della filosofia, testo del 1936, esprime da parte della filosofa ginevrina il rifiuto di una filosofia accademica, persa ad inseguire un'illusione, che porta in scritta di sé il proprio destino, il proprio fallimento, e che, con Kant, Kierkegaard, Nietzsche, inizierà a svelarlo a se stessa, per giungere con Jasper alla sua stessa resa. L'intera storia della filosofia si noda dunque, per Hersch, come la storia di un'illusione fondamentale, quella di riuscire a possedere la verità. In realtà, proprio come Narciso, di fronte allo specchio, essa non può che intravedere se non unicamente se stessa, restando così di fatto inconoscibile ciò che cerca di afferrare con il suo sforzo. Nel testo del 1946, L'essere e la forma, Hersch ritorna in un certo qual modo sull'alienazione propria della filosofia, criticandone in modi tradizionali. che, mirando la ricostruzione teorica, tralasciano lo sforzo filosofico, quello sforzo che implica sempre anche una biografia, come ricordava prima il collega Allegra, perdendone così il movimento intrinseco ed essenziale che sottostà all'atto filosofico o alla pratica filosofica. Ma per meglio comprendere la sua critica in modi tradizionali di guardare al discorso filosofico, è necessario rifarsi a una sua idea cardine, già pronunciata nella sua tesi di laurea degli anni 30, le immagini nell'opera di Berson. Mi riferisco all'idea del mimo e del mimare. Per Hersch mimare significa comprendere l'altro orientando tutto il proprio essere verso di lui. Il mimo è infatti per lei la figura di passaggio, di scambio e di apertura della relazione intersoggettiva. Dunque per la filosofa rivivere il movimento di pensiero proprio di un filosofo rintracciabile nella sua opera significa concentrarsi sulle immagini, sulle parole chiave, sui termini utilizzati a svelare il suo movimento di pensiero, ossia il dinamismo o ritmo, sottolineo ritmo, interno a una teoria. è il ritmo, infatti, ciò che dà unità al sistema filosofico, così come Maria Zambrano reclama nel ritmo ciò che dà unità alla poesia. Le immagini impiegate, il ritmo, le formule che possono essere mimate, con le quali si instaura un rapporto mimetico, permettono di giungere al centro dello sforzo del pensiero messo in atto dal filosofo, lasciando fuori campo le teorie. Questi principi hanno trovato una loro applicazione metodologica nel 1981, nel Entendez-moi philosophique, un histoire della filosofie, tradotto nel 2002 con il titolo Storia della filosofia come stupore. In realtà meraviglia, si potrebbe dire. per la traduzione al francese, pubblicato appunto da Bruno Mondadori in Italia intorno al 2002, come dicevo. Consideriamo che questo testo nasce da una serie di lezioni radiofoniche che lei aveva tenuto negli anni 70, su cui poi torna a lavorare negli anni 80. Il testo, da alcuni considerato illeggibile, in realtà offre un itinerario nel pensiero occidentale, dalle sue origini, attraverso le principali figure di filosofi, ricostruendo una storia o una parabola che va appunto dalla scuola di Mileto fino a Jaspers, fino all'esistenzialismo appunto. Nell'avvertenza al suo libro esce in forma il lettore, che non si trova dinanzi a una storia della filosofia tradizionale, e che quello che la tenterà di mostrare attraverso alcuni esempi scelti in più di duemila anni di pensiero occidentale, sarà soltanto in che modo e davanti a che cosa certi uomini furono colti da stupore, da quello stupore da cui è nata la filosofia. avvisa anche il lettore che non le sarà possibile seguirne le tracce in modo continuo e darne un resoconto completo, per restituire invece i punti di riferimento, le svolte del pensiero, i movimenti privilegiati in cui uno sguardo più nuovo o più ingenuo, fece sorgere le poche domande fondamentali. Quelle domande fondamentali che continuiamo a porci ancora oggi, non appena rinunciamo a nasconderle sotto le chiacchiere o le banalità. Si tratta dunque, poiché lo stupore è proprio dell'uomo, di suscitarlo nuovamente. grazie all'esempio altrui, affinché il lettore ritrovi mimeticamente la propria capacità di stupirsi. Il processo mimetico è nell'uomo, a Ferner, il processo della creazione, in grado di portare il lettore a pensare come un filosofo. ma non solo. Hersh vuole trasmettere al suo lettore gli strumenti che gli permettono esprimere il suo stupore, o almeno di leggere i testi di coloro che si sono stupiti prima di lui. Anche nell'età della scienza moderna, noi possiamo aggiungere dell'intelligenza artificiale, scrive Herschel lo stupore essenziale alla condizione dell'uomo. Pertanto bisogna esaminare innanzitutto i vari filosofi per imparare a conoscere il loro modo di stupirsi. L'atteggiamento mimetico che Herschel vuole mettere in atto nel suo lettore presuppone che ognuno in realtà possieda una propria esperienza filosofica. Infatti ogni volta che ci troviamo nella necessità di prendere una vera decisione, noi ci interroghiamo senza saperlo in modo filosofico. Eviteremo quindi ogni atteggiamento di insufficienza nei confronti dei pensatori del passato, anche quelli più antichi. Il loro radicale stupore filosofico testimonia in realtà della forza creatrice e della capacità inventiva dell'uomo, qualità che permisero a quei grandissimi ingegni di porre le loro strane domande. Fin dall'inizio avremo dunque a che fare con i filosofi capaci di provare stupore, capaci di andare al di là di ciò che nella vita quotidiana appare evidente per porre domande fondamentali. Come i bambini, così come dice la Bibbia, si deve diventare, afferma Hersch, se si vuole davvero capire che cosa sia lo stupore degli antichi è smettere di considerare il passato, la storia, con un atteggiamento di sufficienza dall'alto del piedistallo della scienza moderna. Anche perché, ricorda Hersch, l'essere del passato fa parte dell'essere ed è ontologicamente incancellabile. Ma c'è di più. nella sua storia della filosofia, pur essendo una storia della filosofia sui generis, tuttavia non è un testo teoretico finalizzato a disporre il pensiero dell'autrice, piuttosto è il tentativo al nostro modo riuscito, pur con i dovuti limiti intrinsecamente legati alla sua data di composizione 1981, di testimoniare la necessità di un pensare in opera o in azione. Ma avverte Ersch, la filosofia in atto non è da intendersi come un semplice strumento per vivere bene, così come i diritti umani non sono per Ersch un semplice strumento per prevenire i conflitti sociali. bensì un esercizio di libertà un esercizio di libertà in atto appunto per essere presenti al nostro tempo così come lo fu nonostante lei sentisse di aver mancato al suo tempo pur avendo partecipato alle lotte politiche del secondo dopoguerra. Ideologia in realtà un testo del cinquanta no cinquantasei cinquantasei testimonia molto Attuare la filosofia come esercizio di libertà significa dare una forma agli avvenimenti, anche i più quotidiani, in modo da rischiarare l'oscuro, dando così senso alle cose che si fanno esattamente come fa l'opera d'arte, che quando raggiunge la sua compiutezza restituisce alla realtà un senso, disegnando un mondo di senso. Quello che prima indicava il professor Damonte e anche il professor Allega quando parlava di come le parole disegnano e aprono spazi di realtà. Del resto, il rischiarare l'oscuro, autoritratto, a viva voce, nella lunga intervista del 1986, o meglio, biografia intellettuale in forma dialogica con Gabrielle e Alfred Dufour, due suoi allievi, Hersch non si definisce una filosofa, anche perché, come ella stessa dichiarava, non aveva le capacità di guardare dentro l'oscuro. era consapevole della descrizione di Montale che le era stata fatta. Bensì una persona che aveva cercato di rispondere alle domande che la sua epoca le poneva. In conclusione, così come la sua storia della filosofia come stupore può definirsi una storia della filosofia sui generis per il suo stile asciutto, scarno di dati biografici e di teorie filosofiche. Per restituire al lettore le inquietudini, i movimenti da cui una filosofia nasce, allo stesso modo Ersch può definirsi una filosofa sui generi, che non pretende di trovare risposte assolute o definitive, poiché è convinta che solo nell'esercizio di una totale apertura risiede la natura più autentica di una ricerca esistenziale in grado di non inciampare nell'illusione filosofica. E allora quello stupore non è più un trabocchetto di un genio maligno che lo ha dato solo all'uomo. ma piuttosto è la possibilità, una leva, come dice Simone Weil, per andare oltre e conoscere ciò che è qui, ora. Grazie. Bene. [02:05:54] Speaker A: Se ci sono delle domande. [02:06:03] Speaker C: Una. [02:06:11] Speaker F: Domanda relativamente alla questione Leibniz, in confronto anche teoretico con Platone, storico-teoretico certamente, tenendo conto della differenza del contesto in cui operano l'uno e l'altro. In fondo Platone ha il gioco facile, tutto sommato, per quanto riguarda la bontà di Dio. perché in fondo il Dio di Platone non è il Dio dell'Aebonis evidentemente, è un Dio comunque, per quanto certo c'è la critica agli ededi dell'Olimpo, tutta questa tematica dei miti cattivi e così via, però tuttavia è un Dio che ha caratteristiche diverse rispetto al Dio cristiano, certamente l'uterano dell'Aebonis, che è un Dio che ha creato il mondo dal nulla, avendo potuto ne creare un altro naturalmente e così via, sono caratteristiche che conosciamo. Quindi il problema si pone nella Teodicea, in che senso si pone in Platone? Cioè il problema di Leibniz è di un Dio che ha creato il tutto, in un certo senso, e questo tutto che ha creato diventa giustificazione della presenza del male del mondo che viene in qualche modo relativizzato. In fondo l'individuo, il problema dell'attitudine è quello dell'individuo che guarda le cose dell'intelletto limitato, anche in termini quasi spinoziani, che guarda le cose da un particolare, quindi non si rende conto del tutto, non è in grado di conoscere, assolutizza la sua esperienza, diciamo così, vitale. In volte invece il discorso è diverso, perché il punto di riferimento è forse l'individuo, cioè forse proprio con l'intelletto individuale, che è una certa filosofia forse di tradizione tedesca e metafisica nazionalista aveva in qualche modo sottovalutato e emerge quindi questo punto di vista alternativo a questa visione del tutto a cui in realtà il singolo dovrebbe adeguarsi per conoscere il tutto, ma in realtà ha difficoltà a farlo perché vive di giorno in giorno quotidianamente i drammi come Candil che ne subisce di tutti i colori rispetto a Pangloss che cerca, come dire, invece di giustificare appunto la presenza del... del bene nel mondo. Per quanto riguarda invece Hersh in qualche modo, in che senso? Lei non si sentiva filosofa, mi pare di aver capito, però proprio l'auto ultima considerazione mette in evidenza il fatto come bisogna applicare lo stupore con cui a quanto pare giustamente ricostruisce diciamo la storia della filosofia al presente, cioè c'è uno stupore di Hersh rispetto al presente, non è questa una sollicitazione a fare filosofia, cioè guardare il presente con stupore significa non assumerlo come scontato, in qualche modo assumerlo come qualcosa che potrebbe anche non esserci come responsabilità. Appunto questa è una domanda in realtà giusta un chiarimento. Grazie. [02:08:32] Speaker A: Ci sono altre domande? [02:08:35] Speaker B: Sì, io ce l'ho. [02:08:38] Speaker D: Sì, ma allora sì, grazie alla domanda, molto interessante che appunto, come dire, Entra in un'articolazione che certamente non ho avuto il tempo di definire, perché è chiaro che è totalmente altro l'ambito platonico, molto diverso è quello di Leibniz rispetto a Voltaire. Ma in Platone c'è un germe certamente di teodicea, ripeto, non esiste ovviamente la parola, esiste però la cosa. C'è un problema di, in qualche modo, secondo me, di rispondere ai tragici, cioè rispondere al problema del tragico rimasto irrisolto. Fondare una nuova politeia, fondare una repubblica, rifondare una città implicava secondo me inevitabilmente rispondere al problema del male. che i tragici avevano lasciato in qualche modo irrisolto. Tragico allude ad una lacerazione strutturale dell'esistere per cui l'eroe tragico è totalmente innocente insieme totalmente colpevole. Pensiamo a Edipo, Antigone, totalmente colpevole come Edipo. perché compie delitti più efferrati ma senza saperlo quindi anche totalmente innocente. Mi viene sempre in mente quel finale meraviglioso dell'Edipo Colonno quando in qualche modo Edipo è redento e trasfigurato in qualche modo evapora in una luce di trascendenza quasi ma appunto I tragici avevano lasciato irrisolta la grande questione. Rifondare una città implicava in qualche modo una risposta a quella sfida che i tragici lasciano aperta. E appunto, in qualche modo, Platone risponde affermando l'assoluta positività di Dio, l'assoluta positività del bene. E certo poi, come dire, sappiamo che il male in Platone è in qualche modo legato alla alla cora, alla materia, alla materialità, ma certamente non ha a che fare appunto con l'intelligibile. Era in qualche modo la sfida di una rifondazione di una nuova religione filosofica rispetto a quella mitica, perché quella mitica era, dico proprio così cose a braccio anche forse non troppo precise, ma insomma la religione mitica era la responsabile della morte di Socrate. Ciò che in qualche modo lo si vede benissimo nell'autofono, Socrate come dire viene convocato davanti al tribunale incontra questo indovino sacerdote rappresentante del mito e lì Per quello che mi pare quel dialogo socratico platonico è un luogo fondamentale della letteratura occidentale, perché per la prima volta un filosofo chiede ragione ad un uomo del sacro, della propria fede. Rendimi ragione della tua fede, rendimi ragione di ciò in cui credi. E lì al centro di quel dialogo sta quel celebre dilemma di Eutifrone. io ho scritto un libretto su questo perché mi pare uno dei cardini fondamentali della stessa, tra l'altro, filosofia della religione. Santo è ciò che amano gli dèi o gli dèi amano ciò che è santo in sé, ozion, to ozion, va bene comunque. Certo, il problema della teologia si accentua enormemente, si esaspera, come dire, quando appare il dio cristiano che appunto in questo senso è come dire proprio in quanto creatore è chiaro che è come dire doveva essere ulteriormente necessariamente ancora di più scagionato dal male ma appunto Leibniz da questo punto di vista conia il il paradigma per eccellenza della teodicea, cioè i mali particolari convergono sempre all'interno di un tutto, di una totalità, che li giustifica in qualche modo. E' questo che fa saltare Voltaire, perché il punto di vista, come giustamente accennava, di Voltaire è assolutamente individuale, cioè questo bene generale, questo bene universale non si sa cosa sia, è una costruzione totalmente artificiosa e intellettuale, perché il punto di vista è sempre quello del male individuale. del male del singolo che ecco e non ho fatto in tempo prima a ricordare questo questo episodio centrale di Zadig, la visione di lui sotto le stelle che a un certo punto esclama ma uscito, scappato da Babilonia dopo una serie di vicissitudini inenarrabili dice ma a cosa mi è servita la vita a che tutto questo? Sotto il cielo stellato, ma appunto vedete il cielo stellato, cioè la religione naturale, non è più in grado di assorbire il male individuale, c'è un male in eccesso. La questione che fa saltare la teodicea è il male in eccesso. E lì la questione da etica, cioè che cosa devo fare, si fa religiosa o metafisica. A che tutto questo? quella visione del di di Zadig sotto il cielo stellato che non riesce più a riassorbire nell'armonia del tutto il suo male ecco lì è il punto di crisi della giudicea. So, va bene. [02:14:15] Speaker C: Qualche riflessione così. Grazie, grazie a voi. [02:14:17] Speaker B: Assolutamente grazie anzi della parola. Allora eh Io credo che potrei rispondere con una frase che Hersch dice nel rischiarare l'oscuro, a cosa serve la filosofia? Lo dice in maniera molto sintetica, essere presenti al proprio tempo. Mi piace molto questa espressione per definire a cosa serve la filosofia. essere presenti al proprio tempo, ossia in altri termini andare in qualche modo a quella responsabilità che lei sottolinea proprio quando rimanda alla teoria dei diritti, trovando un fondamento in quella libertà responsabile. Quindi in questo senso lo stupore è uno stupore che si presenta sempre nuovo e che ogni volta assume una funzione. Io credo che l'illusione della filosofia e lo stupore filosofico siano l'uno il contrapunto dell'altro. Nel senso che lo stupore ha come contrappunto l'illusione, ma l'illusione a sua volta ha come contrappunto lo stupore e questo crea due piatti sulla bilancia, una bilancia con due piatti che in qualche modo va tenuta in equilibrio. Cioè noi abbiamo una tendenza naturale, così come è naturale lo stupore in noi ad illuderci. L'esercizio filosofico dovrebbe portare i due piatti a essere compensati, a in qualche modo mantenere l'asse. Io se dovessi dire veramente in poche parole a cosa richiama rispetto al presente Hersh e alla responsabilità. responsabilità che lei ha sempre fra l'altro, anche se in qualche modo se ne è sentita, si sente limitata di aver agito in maniera limitata nel suo tempo, in realtà l'ha messa sempre in atto. L'ha messa in atto sin da ragazza attraverso i suoi genitori, che hanno sempre in qualche modo collaborato con quelle file antifasciste e naziste e in qualche modo a sua volta con il suo impegno nel partito socialista svizzero. Quindi in questo senso è una donna che è sempre stata presente a se stessa. Il fatto poi che lei si sentisse in qualche modo non del tutto una filosofa è perché effettivamente lei ha cercato delle vie anche alternative all'illusione filosofica e le ha trovate nella letteratura, nel romanzo, quindi in questo senso c'è anche questo altro aspetto e poi in quella forma creativa per lei più alta che è in qualche modo la musica, era una pianista, quindi è una figura complessa che però per mantenere insieme queste diverse sfaccettature della sua personalità è la filosofia che le tiene insieme in qualche modo, è proprio la filosofia che le trapassa l'una dalle altre e le chiarisce, perché anche l'aspetto artistico in qualche modo lo chiarisce attraverso la sua attività di filosofa, diventa chiara quell'essere portatrice di forma attraverso l'atto creativo proprio grazie alla filosofia. [02:18:06] Speaker D: Cioè, quell'episodio che hai ricordato di Montale, che svolge alle rancontre internazionali di Gennaio, è vero? Era quella sull'umanesimo? Perché ce ne sono state due dove Jasper si intervenuto. [02:18:16] Speaker B: È La verità credo al primo, credo al primo. [02:18:19] Speaker D: Allora, quello del 46 forse era quello sull'umanesimo? [02:18:23] Speaker B: Allora no, il secondo. Perché nel 49 la citazione… È del. [02:18:27] Speaker D: 49, è del 49 allora. [02:18:29] Speaker B: No, forse allora… Allora è il secondo. Ma una volta parlando col professor Campodonico, che è qui presente, ha detto che lui aveva conosciuto Hersh, o me lo sono sognata io. Ci puoi dare un attimo, ti puoi prendere un microfono? Perché non lo sentiamo. No, ma mi interessa questa cosa perché Una volta ne avevamo parlato tanto tempo fa, ma poi non avevi chiarito questo incontro. [02:19:04] Speaker D: Come sono vecchio l'ho conosciuta, dicevo. No, sì, l'ho conosciuta una volta perché a Chiavari, a Chiavari, cioè scusate, anche a Chiavari, ma a volte a Genova, alla Santa Margherita, il professor Ragazzi, che una volta era una persona importante, quindi invitava i membri del, mi pare, si chiamava l'Institut de Philosophie, qualcosa, una delle organizzazioni filosofiche che lui precedeva e una volta è venuta, mi ricordo qui vicino anche, c'era lei che era piccolina, mi ricordo questo, la sento parlare, non mi ricordo l'argomento. E così tante persone importanti lo sentite grazie a queste occasioni che c'erano. [02:19:41] Speaker B: Grazie. [02:19:49] Speaker C: Sì, esitavo un po' a intervenire perché non è esattamente una domanda, però poi riflettendo sul senso di questo incontro, come dire, e anche se i tempi sono ridotti al minimo, un'osservazione su un tema che è emerso in tutte le relazioni direi anche nelle due vostre. Oggi evidentemente dopo due citazioni non posso fare la terza, mi è tornata in mente prepotentemente Borges questa mattina, non so perché. C'è quest'altro racconto che si intitola Tron Ukbar Orbis Terzius, affascinante, dove In questo racconto emerge veramente la forza creativa del linguaggio. In qualche modo il mondo viene rimodellato grazie a un'operazione di linguistica su larga scala, la creazione di un'enciclopedia che condiziona progressivamente non semplicemente la testa delle persone, la mente delle persone, ma in qualche modo rimodella il mondo in maniera aderente a una certa visione filosofica, che qui non ci interessa, come dire, menzionare, non è specifico questo, per quello che mi interessa osservare invece. Il potere della parola, per l'appunto, il potere creativo della parola. Al tempo stesso però, c'era da ballare a un certo punto, il potere creativo della parola connesso con il fraintendimento che costantemente nei confronti della parola altrui, le persone non possono non operare in maniera che determina idee nuove, differenti, creative, rispetto a quelle che presuntamente venivano proposte da E questo è affascinante perché ci apre uno spazio dove il fatto che noi non comuniciamo perfettamente è più un titolo di specifico, umano, da leggere in positivo. Non avremmo la letteratura se non avessimo la menzogna, la possibilità della menzogna. La bugia è il primo segno di creatività di ciascuno di noi nel momento in cui non si limita ad aderire in maniera descrittiva rispetto alla realtà. Non avremo la creatività della menzogna la dimensione creativa della menzogna e quindi la capacità della letteratura o della filosofia o dell'utopia di creare scenari alternativi. Ci sono pagine bellissime su questo di George Steiner che sottolinea la sua condizione di trilingue perfetto come lo sfasamento di quello che capiamo, o pagine bellissime anche di Leante Leghieri nel De vulgari eloquentia che non è solo un testo racconta diciamo lo status della lingua italiana o crea diciamo ma ragiona anche su questo tema per cui dopo babele non ci capiamo ma questo è anche un modo di e allora emergeva anche un'altra cosa interessante l'idea del mimo invece no? Di ciò che in qualche modo dovrebbe raccontare in maniera quasi eh diciamo probabilmente oggi diremo neuroni specchio no? Cioè un rispecchiamento più efficace a livello più diretto di quello che accade altrove, in una sorta di recupero di una condizione prelinguistica. e qui c'è un testo bellissimo di Kleist un teatro di marionette, no? Dove lui racconta precisamente come l'ambizione di andare diciamo in una condizione ingenua, in una condizione prelinguistica, una comunicazione istantanea, corporea eh una prossemica in qualche modo che viene attivata dal movimento altrui, no? È molto interessante noi in realtà la filosofia, il pensiero, la società la costruiamo grazie alla parola e quindi è un po' drammatico e altrimenti è estremamente affascinante questo tema del fatto che nessuno capisce veramente gli altri, no? C'è uno spazio sempre per la dissimulazione, c'è sempre un'opacità in quello che noi siamo rispetto agli altri per fortuna naturalmente perché vedere quello che pensano gli altri diciamo non è come dire auspicabile generalmente centellinato, al tempo stesso però abbiamo uno spazio di libertà nel comunicare fino a un certo punto, nello scegliere cosa dire e nel presumere che forse gli altri ci capiscono fino a un certo punto. Secondo me è anche un bel modo di pensare alla filosofia questo, ma ecco, è semplicemente una sorrecitazione che mi è venuta dai vostri... [02:24:39] Speaker D: Posso aggiungere una cosa? Così tanto... No, c'è tempo ancora? No, questo, beh, del resto, del resto, sì, certo, in qualche modo tutta l'ermeneutica nasce dall'arte del fraintendersi, è un fraintendimento, ma questo che credo che sia qualcosa di costitutivo rispetto alla parola umana, che insomma anche qui Platone ha già detto tutto, cioè la parola umana, il logos nella sua fragilità ultima non afferra mai completamente la cosa, il pragma uto, il pragma tuto, lettera settima, questa distanza tra la parola e la cosa, cioè dal fatto che noi possiamo nominare, possiamo appunto costruire un episteme attorno all'oggetto, attorno alla cosa, ma non afferriamo mai il suo eidos ultimo, il quinto elemento, quello che sfugge. E questo dice una cosa fondamentale, che la filosofia nasce come parola non autoritativa, non autoritaria rispetto ai miti, alla parola dell'oracolo, nasce come nasce come un discorso che conosce costitutivamente il proprio limite, cioè l'impossibilità di dire totalmente la cosa e in questo scarto che è costitutivo. Del resto qual è la parola più autentica, come lo dicevi tu benissimo, è la parola dei poeti, degli artisti, dei musicisti, cioè quella parola che fa sentire lo scarto tra la parola e la cosa, tra il logos e la cosa, mentre i linguaggi dei yeti sono quelli che oscurano totalmente questa distanza, che invece appunto la grandezza della parola sta nel fatto di che dentro di lei è sempre depositato un silenzio, un non detto. Credo che tutto questo appartenga all'origine della filosofia.

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